venerdì 17 ottobre 2008

IL 16 OTTOBRE DI 65 ANNI FA A ROMA

Il 18 ottobre del 1943 truppe tedesche circondarono un quartiere di Roma abitato da molti romani di religione ebraica e, aiutati da militari italiani, rastrellarono oltre mille persone.
I prigionieri vennero caricati in un treno e giunti ad Auschwitz 826 di loro furono subito eliminati. Gli altri destinati al lavoro.

Ecco parti di un racconto che sarà pubblicato a breve nel link approfondimenti.


Lo so, quella notte non ho fatto altro che strillare. Sempre. L'intera notte. Dicono che il pianto di un neonato, quando ti arriva come un'eco lontana da chissà dove, ti rallegra il cuore.

Sarà forse perché assomiglia tanto a quello di un agnellino e così riesce a chiudere in un cerchio l'intera natura.

Quella cantilena implorante riporta per incanto gli esseri umani al tempo in cui tutto era caldo e muschiato e la luna non si era ancora mai fatta nera. Questo però per voi non valeva. Non eravate al di là di una serie di muri in lontananza. Io ero lì davanti a voi in affannosa altalena tra una culla e le vostre braccia esauste. Eravate commoventi a vedervi nella vostra sfinitezza. Ma io urlavo lo stesso.

Non era colpa mia se eravate tanto giovani e incapaci. Diciassette anni è un'età che ha grandi margini, ma non va bene per diventare genitori. Tu Colomba, mia madre, ti portavi ancora dietro l'aria ribelle e un po' scompigliata da quella adolescente proterva che eri, e tu Angelo, mio padre, facevi un tale sforzo per apparire fiero e sicuro mentre l'infanzia ti trotterellava ancora dietro come un cagnolino indisciplinato! ......

Il vostro amore faceva davvero dolere l'aria. Era un giorno difficile, ma quasi per brindare al vostro matrimonio, là fuori nel mondo era successa una buona cosa. Il Regime, quello che con le sue Leggi aveva portato tanta sventura a noi ebrei (mi ci metto anch'io perché già da tempo ero in corsa verso la vita), il Regime fascista era stato rovesciato. Insomma, proprio in quel giorno di sole pieno era caduto, finito, spazzato via. .....

Certo, la guerra restava, ma chissà che presto finisse anche lei, dicevano,
......
Ma nel "dopo" le cose non sono andate bene come tanti speravano. Il regime fascista era caduto, però la guerra incertamente finita era tornata più crudele di prima.

Nelle vostre città ora comandavano le truppe tedesche, anche quelle che avevano come vessillo "morte a tutti gli ebrei". Così la mia giovane futura mamma ogni tanto tremava e ogni tanto sperava. E per il mio giovane futuro padre era suppergiù la medesima cosa......

Mia madre e mio padre quella notte si muovevano sempre più stanchi, incapaci di trovare qualcosa che riuscisse a farmi calmare.

... Colomba a un certo punto si è messa a gridare anche lei. «Non ce la faccio con questo bambino!» diceva piangendo, «io così divento pazza». Angelo cercava di placarla. «Dammi il bambino» sussurrava, «ci penso io a cullarlo, tu cerca di dormire un po'». Era una offerta dolce ma inverosimile, visto che non c'era un'altra stanza per rinchiudersi a riposare.

Poi Angelo ha provato a dire «Dagli ancora un po' di latte», ma Colomba ha risposto no, perché lo aveva già fatto troppe volte quella notte. Poi ha provato a proporre lei, con la sua voce supplichevole di bambina, «Chiamiamo il dottore?» e Angelo ha risposto che era impossibile perché il vecchio dottore "il bambino" lo aveva già visitato poche ore prima e lo aveva trovato sicuramente sano.

E così tu, Colomba, mia madre, e tu Angelo, mio padre, avete passato con me tutta quella notte senza poter trovare uno spiraglio per abbandonarsi a una briciola di sonno. Eravate così stanchi e sconfitti!

Mamma, papà, io vi chiedo scusa. Non è vero che urlavo per punirvi perché con la vostra impacciata giovinezza non eravate capaci di occuparvi di me. Non è stato questo il motivo. Ho urlato perché sapevo. Sapevo dei soldati della mattina dopo e sapevo del treno. Sapevo che su quel treno io avrei trovato il termine dei miei cinque giorni di vita nel vostro mondo. Di voi non riuscivo a percepire niente… l'onda non arrivava a farmi capire di più.

Ma eravate così giovani e forti! Pensavo che ce l'avreste fatta e forse, chissà, forse sarà andata davvero così.

Io ho urlato per voi. Volevo solo che non vi dimenticaste di me. Tutto qui. Scusatemi se vi ho così tanto disturbato. Non mi era venuto in mente null'altro.

Da regalarvi avevo solo il mio grido.

Tra i tanti episodi tragici legati al 16 ottobre del ’43, Lia Levi in questo racconto si ispira ad un bambino reale, venuto alla luce a Roma poco prima che la madre fosse deportata. Scrittrice e giornalista, Lia Levi è autrice di molti libri per adulti e ragazzi per i quali ha ricevuto diversi premi. Vive a Roma. Ha fondato e diretto per 30 anni ”Shalom”, il mensile della comunità ebraica.

Dal Messaggero del 17.10.08

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