venerdì 30 maggio 2008

IL CORAGGIO DI PAOLO

In un momento in cui tanta parte dei messaggi mediatici mette al primo posto in modo ossessivo il tema sicurezza con parole d’ordine tipo ‘pugno di ferro’ , ‘inflessibilità’ o simili, mentre qualcun altro incendia i campi rom, merita sicuramente attenzione una notizia apparsa nelle pagine locali del Corriere.

Rifacendosi ad un libro di Claudio Magris “L’infinito viaggiare”, un regista teatrale Paolo Sorrentino ha scritto una piece e la sta mettendo in scena alla spazio Mil a S. San Giovanni.

Il testo teatrale è costruito sulle vicende autobiografiche di bambini che vivono in contesti sociali difficili, tra povertà e pregiudizi.

Al centro della scena sta una narratrice in abito da sposa: un omaggio a Pippa Bacca, l’artista milanese uccisa in Turchia lo scorso aprile.

Tutt’intorno ci sono delle tende. Dentro a ciascuna tenda sta un ragazzo che racconta una storia che impone attenzione.

Il pubblico è chiamato a muoversi nello spazio, ad attraversarlo, ad entrare nelle tende.

Fin qui forse niente di sorprendente, ma ciò che va sottolineato è la scelta di un cast di attori del tutto insolito:

tra i 63 ragazzi che animano lo spettacolo ci sono gli alunni di due scuole di Vigevano, gli stranieri ospiti della Comunità Oklahoma e della Fondazione Aliante di Milano, gli adolescenti di un quartiere di case popolari di Abbiategrasso, un gruppo di diversamente abili dell’associazione AIAS di Vigevano e i giovani attori della Cooperativa Teatroincontro.

Paolo Sorrentino non si è però voluto fermare qui, ha deciso che, pur essendo rappresentate nel suo spettacolo le fasce sociali più deboli, non bastavano a rappresentare la realtà ed allora è andato in un campo nomadi alla periferia di Milano ed ha convinto alcuni giovani rom a partecipare alla rappresentazione.

“Per quattro mesi ho letto e discusso “L’infinito viaggiare” con questi ragazzi, commenta Sorrentino. «Durante i vari incontri ho raccolto la storia di un diversamente abile che dice di andare a Lourdes non per chiedere un miracolo, ma perché è convinto che la Madonna gli voglia bene.

Di una bambina rom di 8 anni che afferma di aver paura delle maestre “che hanno paura di me”.

Di un clandestino che dopo aver raccontato la storia del suo viaggio vuole conoscere l’attore che la reciterà, perché lui non potrà esibirsi.”

Nel piccolo di uno spettacolo teatrale di provincia si compie il miracolo di un’azione di integrazione sociale tra diversi che nel territorio della nostra nazione sembra impossibile. Viene negata ed ore ed ore di tg e talk show martellano sulla necessità di espellere, controllare, monitorare, reprimere.

Nell’attesa che qualche media decida di esprimersi in modo un po’ più misurato e critico impariamo dal coraggio dell’uomo di teatro che va controcorrente rendendo protagonisti emarginati e gente da emarginare e soprattutto dimostrando la possibilità di forme di comprensione reciproca e coesistenza.

Dal Corriere della Sera del 28.5.06

giovedì 29 maggio 2008

'INVASIONI BARBARICHE'

Riceviamo questo contributo il cui testo integrale sarà presto presente nel link "approfondimenti".

Gli zingari non sono 'molti, moltissimi', non dilagano, non ci
invadono.

Sono, in un Paese di circa 56 milioni di abitanti, 100/110.000 (circa il
due per mille della popolazione italiana...) di cui 70/80.000 cittadini italiani
e 20/30.000 cittadini stranieri
provenienti, per l'essenziale, da varie
parti dell'ex Jugoslavia.

Sono pochi, pochissimi quindi e non tendono a
concentrarsi in specifiche parti del territorio. Le loro scelte insediative
si basano piuttosto su strategie di dispersione territoriale
.

Quasi metà di questo piccolo popolo ha meno di 15 anni, meno del 3% supera i 60 anni.
Isolati nelle nostre periferie più degradate, gli zingari muoiono giovani.

I tassi di morbilità e di mortalità sono alti fra gli adulti, altissimi fra i
bambini
.

La scolarizzazione è bassa e irregolare, l'analfabetismo diretto o
di ritorno diffusissimo; la disoccupazione, generalizzata.

Nessun paragone è possibile con la struttura demografica, le condizioni di salute,
la scolarizzazione, l'inserimento al lavoro del resto della popolazione.

Sono arrivati nel nostro Paese in momenti diversi:
i sinti dal Nord, via terra, nei primi anni del Quattrocento;
i rom nell'Italia meridionale, via mare, provenienti dalle zone grecofone del morente Impero bizantino, nella seconda metà del Quattrocento;

gli harvati, dall'est, con le modifiche territoriali della prima guerra mondiale e (già allora!) con le tragedie che
la seconda guerra mondiale aveva creato in Slovenia, Croazia, Istria, Dalmazia.

Più recentemente, a partire dagli anni '60, la crisi economica
jugoslava ha prodotto una ripresa di movimenti dall'est verso l'Italia e,
infine, il precipitare della guerra, delle pulizie etniche e dei massacri un
arrivo massiccio a partire dal 1991.

Definirli 'nomadi' è sbagliato e fuorviante. Il nomadismo, con certe forme e
certe sue regole, è uno dei modi di essere delle comunità zingare
.

Sono numerosissimi invece - nel tempo storico e nello spazio geografico - i
gruppi semi sedentari o compiutamente sedentarizzati
, per esempio
nell'Italia centrale e meridionale, in Spagna, in Ungheria, in molte parti
dell'ex Jugoslavia, nell'impero bizantino e in quello ottomano, a Bassora (Sud Iraq)
sin dal VII secolo.

Meglio definirli ('nominarli', come dicevamo sopra)
zingari, come vuole una tradizione 'gagé' consolidata, o, meglio, con i
sostantivi Rom e Sinti, come si autodefiniscono, seguiti, volta per volta,
da un aggettivo specificativo (harvati, kalderas, xoraxané, abruzzesi,
eccetera).

Sono - in Italia come nel resto del mondo - un popolo, composto
di tante comunità distinte
. Ed è come tali che vanno riconosciuti, nominati,
individuandone le diversità specifiche, comunità per comunità, e i tratti
comuni.

Fonte: Carlo Cuomo -tratto da 'Il calendario del popolo'

mercoledì 28 maggio 2008

SANGUE PAZZO

Ieri sera a Pordenone, nella sala Pasolini di Cinema Zero, M. T. Giordana ha presentato il suo ultimo film, proiettato in prima assoluta, fuori concorso, a Cannes una settimana fa.

Titolo dell’opera: ‘Sangue pazzo’ E’ un film girato in due versioni: una per il cinematografo, l’altra per la tv italiana. Parla della vicenda di una coppia di attori famosi durante il periodo fascista, Vicenti e Farida (Zingaretti e Bellucci) che vengono poi al momento della Liberazione fucilati dai partigiani.

Il regista ha voluto spiegare dettagliatamente le scelte fatte.
In primo luogo ha precisato che non ha voluto fare del ‘revisionismo storico’. Per lui non c’è nulla da ‘rivedere’. C’è soltanto il bisogno di riflettere il più oggettivamente possibile sul nostro passato per capirne la complessità.

Di questo passato fa parte la guerra civile che si svolse in Italia sul finire della seconda guerra mondiale.

Giordana definisce la guerra civile, guerra tra fratelli, guerra tra persone dello stesso sangue, come la peggiore delle guerre possibili, perché in queste ultime lo scopo finale e il raggiungimento dell’obiettivo ed il nemico è un ostacolo e non altro.

Nel conflitto civile, invece, il nemico è qualcosa di più: è qualcuno che hai conosciuto, che hai incontrato, che magari ti è stato amico.

La contesa allora si acuisce, diventa viscerale e terribile.

L’Italia ha attraversato tutto questo e non ha ancora chiuso con il suo passato.

Film come ‘Sangue pazzo’ hanno questa intenzione: quella di aiutare le nuove generazioni a conoscere ciò che è successo, presupposto indispensabile per comprenderne il valore storico e le vicende umane di chi vi è stato coinvolto.

Giordana distingue la sua posizione da quella di G. Pansa che con i suoi ultimi libri sembra in competizione ininterrotta con chi lo accusa di revisionismo.
“Tu mi accusi ed io ti scrivo un secondo libro” etc. senza vie d’uscita visibili.

Il regista racconta di essersi documentato con cura sui due personaggi e di aver verificato la loro ‘non partecipazione ad azioni contro i partigiani ed a torture su quelli imprigionati'.

E allora perché ‘giustiziarli’?
E’ il contesto della guerra civile che determina la loro condanna. Finito il conflitto era necessario ‘girar pagina’
E poiché i fratelli nemici erano tantissimi e la vita doveva riprendere, diventava necessario colpire solamente i ’simboli’ del passato regime e dei suoi misfatti.

Una scelta terribile in cui i confini tra il bene e il male sono quasi invisibili.

La coppia di attori conosciuti ed amati dal grande pubblico diventa allora ‘il simbolo’ di una ‘svolta’.
La loro eliminazione permette che tanti possano continuare a vivere nel paese che sta ripartendo.

A margine della presentazione Giordana ha dedicato uno spazio anche al rapporto tra il regime fascista ed il cinema spiegandone la politica:

Il Mussolini giornalista intuisce la potenza dello strumento cinema per generare consenso. Invia allora negli USA un collaboratore fidato con il compito di studiare le tecniche di produzione dell’industria cinematografica di quel paese.

Ne deriva una politica articolata in due branche: l’Istituto Luce per la
Propaganda ed il cinema di svago, più o meno il ruolo che ha la Tv oggi, per avere una non opposizione.

La gente faceva fatica a mangiare, ma al cinema poteva sognare e dimenticare la durezza del quotidiano.

Questo creava popolarità e consenso al regime.

Se ne originò una scuola di cinema che vide la partecipazione di giovani, che poi sarebbero diventati famosi: Rossellini, Antonioni ed altri.

Proprio questa ‘specificità italiana’ permise poi la nascita della grande stagione del neorealismo in cui alla qualità della tecnica di produzione si mescolarono i contenuti della vita e voglia di rinascita di una nazione.

martedì 27 maggio 2008

ELIO E FRANCESCO

Il grande successo di pubblico e di premi della giuria ricevuto a Cannes dai due film italiani in concorso “Gomorra” e “Il Divo” ha prodotto e le felicitazioni del Presidente della Repubblica e i titoli dei giornali , che non hanno mancato di ricordare i tantissimi anni passati da un analogo successo ottenuto da due grandi registi del passato. Francesco Rosi ed Elio Petri.

E’ ben noto a tutti ormai il coraggio civile di Saviano ed il suo libro, molto letto e molto tradotto, nonché l’argomento che tratta.

La figura del politico Andreotti ha accompagnato l’esistenza di milioni di connazionali.

Ma chi aveva, nel grande pubblico, mai sentito parlare prima di Matteo Garrone (Gomorra) e di Paolo Sorrentino (Il Divo), i due registi premiati?

Altre volte è successo occasionalmente di parlare in questo spazio di cinema d’autore e di registi.
L’ultimo era Virzì con i suoi giovani laureati, precari sottopagati e senza futuro.

Di recente nello spazio giovani si è avuto modo di citare il tremendo ‘La ragazza del lago’ di un altro sconosciuto ai più: Molaioli.

Non è ancora capitata l’opportunità di citare l’ultimo lavoro di un regista veneto, non più giovanissimo, ma diligente ed impegnato come Mazzacurati con la sua “La giusta distanza” analisi spietata del Veneto ipocrita.

Pochi forse avevano visto qualcosa dei due giovani autori premiati con il riconoscimento speciale della Giuria a Cannes.

E forse proprio per questo il successo è ancora più straordinario. Non hanno fallito un appuntamento con due temi brucianti di questi anni: camorra e politica riuscendo a incrociare efficacemente la necessità della denuncia e l’analisi del contesto in cui i fatti si svolgono.

Ha vinto il loro lavoro ma soprattutto il tipo di cinema che hanno scelto di fare: il cinema impegnato, un fare film al servizio del cittadino che non tema di andare, se necessario controcorrente.

In questo hanno raccolto l’eredità di Rosi e Petri ma anche di altri come Bellocchio o Pontecorvo.

Fu Rosi ad insegnare ad un’intera generazione di italiani, avidi di capire, i giochi economici e politici che soffocavano le nostre città

E’ stato Petri a portare, tra l'altro, sullo schermo la realtà della mafia siciliana, di cui molti continuavano a negare ancora l’esistenza, in anni in cui Falcone e Borsellino erano ancora bambini o poco più.

In questi tempi difficili per la nostra democrazia c’è da augurarsi che i giovani registi emergenti sappiano essere all’altezza dei maestri del passato.

M. Tullio Giordana, autore dei 100 passi e della Meglio gioventù ha dichiarato recentemente:

Il nostro cinema è una delle poche cose di cui oggi possiamo essere orgogliosi: c'è questa generazione di registi non ancora quarantenni che saprà continuare a testimoniare contro ogni deriva.”

lunedì 26 maggio 2008

DA VERONA A ROMA?

L’ondata emotiva suscitata dall’aggressione naziskin di sabato scorso contro un negozio di bengalesi in un quartiere multietnico di Roma è oggi già scomparsa dalle prime pagine di giornali e tg e derubricata ad azione non politica ma solo xenofoba.

Come dire che non c’è molto da preoccuparsi se una banda di dieci ragazzi con i volti coperti, armati da mazze e spranghe, in pieno giorno in un quartiere pieno di vita e vitalità, assalta un negozio di pacifici immigrati, devastandolo e prendendo a botte i proprietari.

Lo sgomento che accompagna gli episodi che si susseguono in queste settimane di tarda primavera non sembra conoscere giornate di pausa.

Ma lo sconcerto non è solo per le azioni compiute , ma anche per il modo in cui vengono spiegate dai media. Grande clamore all’inizio e poi poco e nulla.
Ben diverso lo spazio dedicato ad un episodio singolo, caso Franzoni, che sembra non perdere mai di vigore mediatico benché la tragedia sia successa oramai diversi anni fa.

Eppure la disapprovazione che si prova per certe azioni di tipo squadristico dovrebbe esser oggetto di attenzione e analisi continua da parte di tg e giornali.

Proprio uno di questi ha pubblicato un paio di settimane fa un approfondimento sull’uccisione di Nicola Tommasoli il primo maggio a Verona.

Andrea, 21 anni studente di legge, dice orgoglioso del lavoro fatto : “Siamo di destra, ci piace l’ordine, la città pulita. Ma non siamo naziskin. Non ci importa nulla del nazismo, del fascismo, di Hitler, Mussolini.”

Lui è uno dei bravi ragazziche hanno ripulito il centro città da immigrati che cercano di vendere qualcosa e da giovani con look diversi dal loro:

cioè senza rayban, senza i giubbetti di pelle nera, i jeans firmati e i capelli corti.

Aggiunge: “Viviamo il nostro tempo. E ci siamo ripresi questa città. Fuori i frichettoni, gli immigrati e tutti i balordi

Di chi ha ucciso Nicola dice: ” E’ stato un incidente. Non volevano ucciderlo, solo dargli una lezione”

Nelle parole di Andrea si trovano quei concetti che sono centrali nell’analisi di A. Touraine, presentata qui sotto venerdì scorso:

la proiezione delle proprie ansie sul diverso e la sua disumanizzazione il toglierli il diritto, in quanto povero o rom o trasandato, di essere persona.

E’ in pratica il meccanismo culturale che permette poi di trovare il coraggio di aggredire in cinque o dieci una persona sola, indifesa, e di sprangarla, avendo come giustificazione un fine ritenuto ‘positivo’

Un pensare in un modo che apre all’azione violenta, che può portare anche alla morte del malcapitato e che non tiene in debita considerazione la spirale che ne può derivare.

E l’assalto al negozio bengalese di Roma sembra esserne la conferma.
Le dichiarazoni di Andrea da Repubblica del 17.5.08

venerdì 23 maggio 2008

L'OPINIONE DI A. TOURAINE

Alain Touraine è un noto sociologo francese che nel suo ultimo libro:”La globalizzazione e le fine del sociale” edito in Italia dal Saggiatore ci aiuta a dipanare i tanti quesiti che sorgono da tutta una serie di avvenimenti politici e sociali che scandiscono l’attuale quotidianità.

Per lo studioso la mondializzazione, le catastrofi naturali, la crisi economica, le difficoltà della vita quotidiana creano nelle persone un senso di impotenza, perché non sanno come reagire. La realtà appare minacciosa e produce una paura indistinta che viene immediatamente trasferita sugli altri, soprattutto sugli stranieri.”

E’ una paura di tipo xenofobo perché è paura del diverso da noi fisicamente, ma anche sul piano della cultura, della religione o degli stili di vita.

E’ chiaro che le caratteristiche dell’altro, del diverso sono solo un pretesto per proiettare su di lui le nostre angosce ma il risultato è un rifiuto talmente grande che giunge a negare l’umanità dell’altro, dichiarandolo non umano in quanto integralmente diverso da noi

Approfondendo il suo ragionamento il sociologo afferma che per lo xenofobo diventa impossibile vivere insieme agli altri…percepiti come esseri impuri.

Costoro, solamente con la loro presenza, vengono percepiti come una minaccia per una comunità idealizzata come pura e quindi da preservare da eventuali contaminazioni

E’ evidente che un percorso di questo tipo sfoci poi, se seguito fino in fondo, in forme di razzismo e violenza.

Guardandosi indietro Touraine vede nella storia eclatanti esempi di rifiuto degli altri: i barbari, la tratta degli schiavi, il colonialismo.

Il problema è che ci si era abituati a considerare tali manifestazioni xenofobe come una caratteristica del passato, mentre invece si è costretti a constatare che pare si stia tornando indietro.

Anziché rinchiudersi ed evitare gli ‘stranieri’lo studioso vede nel confronto diretto con gli stessi un modo di conoscere meglio e difendere la propria identità personale e nazionale, che viene sentita in pericolo.

In modo particolare Touraine invita a scegliere di dibattere la questione e di prendere decisioni politiche a livello locale.

Praticare il metodo della discussione permette di smontare e decostruire il discorso della xenofobia, mostrando ai cittadini che gli immigrati non sono una minaccia … evitando così reazioni irrazionali e sfuggendo alla paura
Da Repubblica del 20.5.08 intervista di F. Gambaro

giovedì 22 maggio 2008

L'ANALISI DEL DOTT. LUZZATTO

In una recente intervista Amos Luzzatto, che è stato presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, dichiara, parlando di ciò che sta succedendo nel nostro paese con i rom, che lui e i suoi correligionari, gli ebrei, sanno bene le conseguenze di ciò che significa esser ”prima di tutto indicati come stranieri irriducibili, poi progressivamente stranieri parassiti… e in conclusione gruppi umani da espellere, da perseguitare…”.

Per questo motivo lui si sente vicino ai rom, sa per esperienza cosa “significhi esser vittime di pregiudizi che si trasformano in odio e ‘violenza purificatrice’ ”. E vuole che non succeda che la comunità degli zingari sia vittima di nuove discriminazioni.

Per Luzzatto coloro che appiccano il fuoco ai campi rom interpretano il modo sbagliato con cui la questione dei nomadi viene affrontata da chi di dovere:
in altre parole stiamo vivendo una fase di migrazione di massa che pone la nostra società davanti a timori e paure sconosciute fino a pochi anni fa.

Isolare quella che può essere nell’immaginario e nella realtà quella componente ”più facilmente riconoscibile e colpirla” crea solo l’illusione di risolvere un problema che invece è estremamente difficile affrontare ed indirettamente legittima che si sente, da questo modo di vedere le cose, in diritto ad agire in prima persona, magari in modo barbaro.

Ed a proposito dei fuochi dei campi dice “ogni fuoco richiama alla memoria altri fuochi”. Basta tornare indietro con la memoria:
a ciò che è successo nel passato dell’Europa“ i roghi dell’Inquisizione, i roghi dei libri maledetti, … quelli dei campi di
sterminio.”


Per cui bisogna interrogarsi quale sia il tratto comune a tutti questi falò e la risposta che si trova è purtroppo tutta in un verbo:
distruggere.
Non deve restare niente di tutto quello che dà fastidio al potere.

E’ un modo di vedere le cose che ingigantisce e generalizza portando alla distruzione di molto di più di quello che si afferma di voler eliminare. ”E’ terribile, ma è così”.
Da L’Unità del 19.5.08

mercoledì 21 maggio 2008

ARRICCHIRSI

Si parla molto del reato di immigrazione clandestina. Una recente indagine basata su dati della Fondazione Ismu e dell’Istat ha calcolato che sono circa 650.000 i clandestini in Italia, la maggior parte dei quali è concentrata nelle grandi città.

La percentuale più alta la si trova a Brescia. E’ formata da senegalesi, marocchini e pachistani. I questa città e nella vicina zona di insediamento industriale della Val Trompia si raggiunge la cifra di 32 immigrati ogni 1000 abitanti.

Dopo Brescia c’è la zona di Prato in Toscana con una predominante presenza di cinesi.

A Foggia si raccolgono i pomodori e là gli immigrati vengono dall’Est Europa e dall’Africa Centrale.

Nelle grandi città da Roma a Torino o Milano e Padova la densità della presenza degli extracomunitari è pure significativa.

Il tratto comune che sta emergendo in questi giorni di discussione sulla punibilità dei clandestini e che gli stessi sono una fonte di ricchezza non solo per i datori di lavoro.

La manodopera in nero a poco prezzo è qualcosa su cui si può basare quella parte della nostra economia che ha una sensibile componente di elusione fiscale.

Ma non c’è solo quest’aspetto. Il dato ‘nuovo’ che sta emergendo con più chiarezza è costituito dal mercato dei posti letto, dove chi ci guadagna sono ancora i nostri connazionali, questa volta nel ruolo di proprietari d’immobili.

Le cifre di cui si parla sono di 300, 400 e anche 500 euro al mese per posto letto. Nel foggiano vengono stipati nelle vecchie masserie. Al nord, chi non ha i soldi, deve adattarsi, gratis, in fabbriche abbandonate.

Il caso più eclatante, di recente alla ribalta della cronaca, viene da Torino. Località corso Regina Margherita.
Hibraim, proveniente dal Marocco pagava 450 E. al mese per una stanza di tre metri per tre arredata con uno sgabuzzino e con il bagno nel ballatoio.

La stanza che Hibraim divideva con tre connazionali aveva l’angolo pollaio.

Ai poliziotti stupefatti per la presenza delle due galline il marocchino ha detto: “Li abbiamo comprati, li ingrassiamo e li mangeremo”.

Trovare quelli che affittano questi appartamenti non è sempre facile. Spesso è una giungla di sigle di società che controllano o sono controllate da altre società.

A Torino la polizia è riuscita a identificare un proprietario, un signore di 65 anni, detto “il dottore” da chi gli pagava l’affitto. Considerato uno dei re delle soffitte ha una dote immobiliare stimata in più di mille unità.
Da La Stampa del 12.5.08

martedì 20 maggio 2008

13 ANNI

Ha 13 anni, frequenta la terza media, studente di buona famiglia, al mattino regolarmente a scuola, poi a casa i compiti e, fatti questi, libero di andare in giro e vedere gli amici.

Luogo del ritrovo il parco dove non ci sono solo coetanei ma anche ragazzi delle superiori. In tutto sei sette persone.

Per il tredicenne far parte del gruppo è importantissimo e il diciassettenne che fa un po’ il capo se ne accorge ed inizia a porgli delle condizioni.

O porti qualche oggetto di valore o sono botte e anche il male estremo: l’allontanamento, l’esclusione dal gruppo.

Il giovane tiene troppo a questi ‘amici’ e prende dal portagioie di sua madre un anello che vale tremila E. consegnandolo al capoclan. Costui trova un negoziante di preziosi che gli dà 500 E.

Non passa molto tempo e la madre se ne accorge. Interrogato, il figlio prima nega, poi confessa tutto al padre ed in seguito ai carabinieri.

Ne esce un quadro di ricatti e di soggezione psicologica continua.

Il luogo dove si svolge tutto questo non è il Sud o la grande città ma il paese di Dolo, a due passi da qui.

Sempre qui vicino, stavolta a Musile di Piave un moldavo di 29 anni è stato salvato dai carabinieri, chiamati da un passante, dall’aggressione di quattro italiani che, stanchi di aspettare la restituzione di mille E., lo stavano pestando con un crick (ricovero urgente all’ospedale di Mestre) ed intanto si erano presi il suo orologio e cellulare.

Poco consola il fatto che i quattro siano solo residenti in loco ma di origine siciliana.

Talvolta capita di leggere notizie di episodi di bullismo o di azioni teppistiche e succede sovente di pensarle, sociologicamente, lontane dalla realtà in cui siamo abituati a vivere, collegandone il verificarsi a contesti facilmente immaginabili di degrado sociale, di problemi economici, di tensioni razziali e così via.

I due fatti riportati obbligano invece a rivedere un po’ queste abitudini perché non si tratta di una violenza che colpisce nostri connazionali o compaesani dall’esterno come ad esempio in occasione del delitto di Gorgo al Monticano di un anno fa.

Qui si tratta, nel primo episodio, di un disagio di vita che è presente tra ragazzini che hanno esistenze del tutto normali in contesti sociali in cui non c’è deprivazione di mezzi e, verrebbe da pensare, anche di rapporti interpersonali solidi.

E nel secondo caso di una violenza che vede l’immigrato come vittima di rapporti con italiani che hanno mezzi ben superiori ai suoi.

E’ difficile da accettare, ma il nostro tessuto sociale non pare impermeabile a ciò che succede in tante alte parti d’Italia.
Dal Corriere della Sera (Corriere del Veneto)del 14.5.08

lunedì 19 maggio 2008

RISPONDERE

La settimana scorsa persino il commissario europeo ai diritti umani ha iniziato a preoccuparsi per l’ondata contro i rom che in Italia, dopo qualche giorno è diventata un’ossessione che sembra non aver fine e che forse, purtroppo, è solo all’inizio.

Poi le proteste spagnole. Viene da chiedersi se chi ascolta o legge solo i nostri media si rende conto del livello ‘culturale’ attuale che viviamo.

Napoli: dei rom prima vengono aggrediti per un oscuro fatto di un tentativo di furto di una bambina di pochi mesi.

Poi gli incendi dei loro campi abbandonati in fretta e furia: immagini sinistre che girano nei tg e che evocano spettri di un passato che sembrava definitivamente alle spalle.

A Milano, sempre nei giorni scorsi, una molotov viene lanciata contro uno stabile in cui gli ‘untori’ di questi tempi pernottano.

Sul piano istituzionale prima si parla di un prefetto per i rom a Milano, poi Alemanno ne vuole subito uno anche lui a Roma.
Mercoledì sera il prefetto numero due era diventato commissario straordinario.

Sembrano gli inizi di una ‘pulizia etnica’ senza armi.
Un movimento che desta inquietudine sia sul piano della fretta dell’iniziativa istituzionale che su quello della società, turbata da disagi reali, concreti e da un tam tam dei media che sembra non vedere altri problemi.

Una telefonata indignata di una cittadina napoletana ad un’emittente locale ribadisce con forza quanto è a tutti noto: il cancro della città non sono gli zingari ma la camorra.

Un nesso che molti cronisti e direttori sembrano stancarsi di ripetere all’infinito.

Come reagire allo sgomento ed al senso di impotenza che pervade chi capisce la deriva verso cui il sistema paese si sta dirigendo?

Forse una risposta viene da un paese siciliano, Niscemi, che sempre la scorsa settimana ha occupato le prime pagine.

Una quattordicenne da tempo scomparsa viene ritrovata morta. Orrore che si aggiunge ai tanti che si devono digerire. Supposizioni di ogni tipo, poi la verità:

ad ucciderla sono stati tre minorenni italiani. Una verità che è dura da mandar giù, ma che la immediata confessione dei tre costringe ad accettare.

E nel silenzio generale fa notizia che i ragazzi delle scuole di Niscemi scendano in piazza per manifestare contro i mostri che sono tra noi.
Tra noi bravi italiani

L’ammirazione per il gesto dei giovani siciliani, guidati probabilmente da insegnanti e famiglie lungimiranti, fa capire che forse la risposta giusta, la reazione vera può venire sola dalla parte sana della società civile.

Una parte del corpo sociale che non si arrende, che non smette di interrogarsi e di voler difendere i principi e valori che hanno segnato decenni della vita del nostro paese.

Da quello della solidarietà a quello della sicurezza delle persone, senza mai dimenticare le vere emergenze nazionali: il lavoro sicuro, il potere d’acquisto dei salari, la libertà dalle mafie, la pace.
Fonti: stampa nazionale dei giorni scorsi.

giovedì 15 maggio 2008

COMUNICAZIONE

Per problemi tecnici il blog è sospeso e riprenderà Lunedì prossimo 19 maggio.

mercoledì 14 maggio 2008

CORAGGIO CIVILE 2

A Peppino Impastato M. Tullio Giordana ha dedicato un film qualche anno fa: I cento passi con Lo Cascio come protagonista.

Prima del film pochi conoscevano la vicenda dì questo studente siciliano che da solo tentava, con l’uso e l’ausilio di una radio locale e delle proprie idee nate nella cultura del ‘68, di sfidare lo strapotere mafioso della zona di Cinisi.

Quando la malavita decise di eliminarlo, uccidendolo barbaramente, erano i primi di maggio di trent’anni fa, la stampa nazionale ne parlò come di un ordinario delitto in stile mafioso.

Non era esattamente così: Peppino era una figura straordinaria e trainante di militante politico “di base”.

Aveva deciso di dare un senso alla sua esistenza impegnandosi a fondo contro l’omertà che copriva ogni agire criminale e toglieva un’idea di futuro ai giovani siciliani del suo territorio.

Si era guadagnato parecchi consensi, in particolar modo tra i coetanei, e non era appoggiato da nessuno tranne che da un giornale oramai scomparso: “Lotta continua”, che riferiva del suo impegno e delle sue battaglie, nonché del suo isolamento.

Umberto Santino del “Centro Siciliano di Documentazione ‘Giuseppe Impastato’” scrive che “sono ormai noti i responsabili del delitto (nel 2001 e del 2002 sono stati condannati come mandanti Badalamenti e il suo vice e la relazione della Commissione antimafia ha individuato le responsabilità di uomini della forze dell'ordine e della magistratura nel depistaggio delle indagini).

A distanza di tre decenni il Centro ha voluto ricordarne la vita e l’opera con una manifestazione e dei forum che si sono svolti lo scorso fine settimana a Cinisi.

Temi degli incontri: il lavoro nelle scuole, l’organizzazione dell’antiracket, l’uso dei beni confiscati.

Ieri si è voluto qui ricordare la figura di un medico che ha aperto una strada nuova per trovare una soluzione al problema della malattia mentale.

Ripercorrendo la vicenda di Peppino viene spontaneo interrogarsi sulla sorte di coloro che nelle fila della società civile oggi ne hanno raccolto l’esempio.
E sono in tanti: dallo scrittore Saviano ai giovani di ‘Libera’.

E c’è solo da augurarsi che chi tra costoro fa pubblicamente nomi di malavitosi non venga isolato e lasciato solo.
Fonte: il Manifesto del 9.5.08

martedì 13 maggio 2008

CORAGGIO CIVILE

Tanti anni fa, ma non tantissimi, si era agli inizi degli anni settanta, chi aveva in famiglia un problema di salute mentale, era una persona segnata per molto tempo. Il familiare doveva esser isolato e ricoverato in un ospedale il cui nome evocava paure di ogni tipo: il manicomio.

I parenti stretti venivano pure visti con qualche sospetto. Se capitava di chiedere perché i matti dovevano stare in quel luogo, ci si sentiva rispondere che erano pericolosi. Potevano anche uccidere.

I soloni medici del tempo li curavano evitando che potessero incontrare i ‘normali’. Nei manicomi le mura era alte. Ogni fuga impossibile.

Le ‘cure’ prevedevano i letti di contenzione, camice di forza, elettroshock e psicofarmaci. Il loro tempo passava tra sofferenza, urla, violenza e sudiciume.

Un inferno medioevale per questi sventurati che si trovava all’interno delle moderne città italiane già invase dalle automobili e dai lustrini della ‘civiltà del boom economico’.

E’ in questo contesto che un medico psichiatra veneziano: Franco Basaglia si avvicina ai malati di mente con un nuovo approccio che si basa sul concetto dell’ importanza del comunicare, dello sforzo di stare nelle cose e di aiutare chi forse fa piú fatica degli altri a starci restituendo in altri termini la parola ai matti.

Anni di duro lavoro nelle istituzioni e poi trent’anni fa la chiusura dei manicomi.

Chi se ne ricorda più della paura dei matti. Sono subentrate nuove paure.

Dare un’ occhiata indietro però serve eccome.
Chi uccide oggi non sono i malati di mente riconosciuti e riconoscibili, sono invece persone normalissime che conducono esistenze apparentemente tranquille ed abitano spesso in belle case, fino a giorno in cui, con grande sorpresa dei vicini, non si scopre l’orrore della porta accanto.

Il coraggio di Basaglia, tanti e anche pochi anni fa, fu quello di saper vedere ‘oltre’, di capire e far capire che i malati di mente erano ‘persone’ che avevano bisogno di non essere isolate, ma di esser capite e riconosciute come persone e basta.

Duro fu lo scontro con le potenti gerarchie mediche e con le istituzioni ma alla fine Franco Basaglia la spuntò sia professionalmente ma prima ancoranculturalmente, dimostrando come il sapere sulla follia era più basato su pregiudizi che su conoscenze specifiche.

Nico Pitrelli ci ha scritto un libro: L’uomo che restituì la parola ai matti. E nell’articolo in cui se ne parla dice che oggi ci manca Basaglia cioè ci manca uno sguardo obliquo, trasversale, dinamico, uno sguardo dialettico insomma.

Secondo l’opinione di Pirelli oggi la spinta all’omologazione è irresistibile e purtroppo nulla veramente mette in discussione un impianto di pensiero dominante; è difficile trovare uno spiraglio, un filo, una posizione dislocata per contrapporsi.

Tanta gente non ricorda, non sa quante famiglie, quante persone con sofferenza mentale devono esser grati ancora oggi a questo medico che ha permesso con il suo lavoro ed il suo coraggio che i ‘matti’ potessero avere un’esistenza dignitosa.

Ma ancor più numerose sono le persone che hanno bisogno di recuperare un metodo di lavoro e coesistenza sociale uguale al suo. Un operare in un contesto social-culturale molto difficile in cui sono necessari anni di fatica, di contrapposizioni e di sperimentazioni per riuscire ad affermare il proprio punto di vista.
Fonte Unità 12.5.08

lunedì 12 maggio 2008

L' ALEMANNO

Dopo esser stato eletto sindaco di Roma, ieri Gianni Alemanno ha dato un’intervista al Sunday Times.

Al giornale ha detto di non essersi “mai definito fascista, persino quando ero giovane”.

Poi però ha proseguito affermando che “negli anni Settanta e Ottanta noi a destra pensavamo che il fascismo fosse sostanzialmente positivo.”

Aggiunge anche:”ora capiamo che era totalitario e generalmente negativo, dev’esser condannato…
Penso che quella parola (fascismo) appartenga ai libri di storia.”

Ma alla domanda se ci fu qualcosa di buono nel fascismo risponde:
«Ciò che è positivo, dal punto di vista storico, è il processo di modernizzazione. Il fascismo fu fondamentale nella modernizzazione dell'Italia.

Il regime prosciugò le paludi; creò l'infrastruttura del Paese».

Alemanno porta ad esempio l'Eur, «esempio di architettura che era parte del processo di modernizzazione e diede importanza all'identità culturale dell'Italia».

Le sue affermazioni al giornale inglese hanno suscitato clamore e qualche allarme.

Gli risponde Luciano Canfora, storico e saggista:

“Gli storici dicono che negli anni ’30 l’intera Europa vide un processo di modernizzazione, connessa al grande sviluppo industriale e al capitalismo maturo. Si sarebbe prodotto comunque indipendentemente dal regime politico.”

E per quanto riguarda L’Eur e le paludi : “Fa parte dell’esercizio del potere dare corpo a un piano di lavori pubblici in un’epoca di relativa pace, ma non può essere il biglietto a visita di un regime.

C’è un campo in cui è doverosa l’osservazione critica e cioè i fortissimi passi indietro dal punto di vista della rappresentanza. L’Italia fascista fu imbrigliata nel corporativismo e le donne ottennero il diritto di voto solo dopo la Liberazione.”

E sulla valutazione del sindaco di Roma conclude: “Questo tipo di rivalutazione strisciante è nell’aria e bisogna stare attenti ai manuali per le scuole, dove prima o poi qualcuno comincerà a infilare quei concetti.

Noi abbiamo una costituzione scritta che discende direttamente dalla Resistenza…attenti a non mettere in pericolo l’architrave della nostra Repubblica.”

Dal Corriere della sera del 12.5.08 e on line dell’11.5.

venerdì 9 maggio 2008

SICUREZZA

In un recente rapporto “100 statistiche per il paese” l’Istat fotografa un Italia che ci pare di non conoscere, martellati come siamo dal tam tam dei media sulla sicurezza.

«Nel contesto europeo l'Italia, per numero di omicidi commessi, è uno dei paesi più sicuri», recita il rapporto.

Nel confronto con l'Europa, l'Italia si trova dunque al di sotto della media europea (14 omicidi per milione di abitanti), in ottava posizione dopo Austria, Lussemburgo, Svezia, Germania, Malta, Slovenia e Repubblica Ceca.

«I paesi con il maggior numero di omicidi sono le ex repubbliche russe del Baltico, Lituania, Estonia e Lettonia, che hanno indici rispettivamente pari a 118,3, 83,9 e 55,2 per milione di abitanti».

L'unica tipologia di delitto che ha avuto «un incremento è quello degli omicidi che si consumano in famiglia».

l'Istat precisa: «Molte tipologie di reato hanno avuto un andamento decrescente: gli scippi, i furti di veicoli, i furti nelle abitazioni». Nonostante questi dati incoraggianti, la criminalità preoccupa più della metà degli italiani: il 58,7%

Il dato è però più alto al Nord, la parte più ricca del paese che evidentemente si sente anche più vulnerabile.

Questi i fatti. Si tratta ora di chiedersi cosa ci sia dietro l’enfasi dei media per il tema sicurezza, che sarà tra l’altro oggetto di una delle primissime riunioni del nuovo governo

Non è difficile immaginare che ci saranno azioni ”esemplari” nei confronti dei disperati che arrivano semivivi sulle nostre coste meridionali e dei tanti clandestini che affollano le città del nord.

Il tutto accompagnato dalla musica dei tg nazionali e di quelli delle emittenti private.

Il problema sarà risolto? C’è da dubitarne.
Il paese sembra impotente e incapace di reagire davanti a ciò che succede sul piano sociale.

A Torino 3 vigili che appongono una multa di pochi E. ad un auto vengono allontanati da una folla inferocita.
Omicidi in famiglia. Bambini vittime di ogni tipo d’infamia. Adolescenti che bruciano i capelli al più debole e filmano col cellulare.
Ragazze bulle che aggrediscono le coetanee che hanno più successo e via di seguito.

Aggiungiamoci crisi economica e paura del futuro ed il gioco è fatto.

Quanto a lungo potrà durare il gioco della sicurezza e delle ronde contro criminali e clandestini?
Chi avrà il coraggio di dire che è da una rifondazione dei modi di coesistenza e di modelli esistenziali che si deve ripartire?
Dati Istat da Unità del 7.5.08

giovedì 8 maggio 2008

NICOLA

Si continua, per fortuna, a parlare ancora anche se fuori dalle prime pagine dell'uccisione di Nicola a Verona.

Qui di seguito un'intervista rilasciata dal procuratore capo della città scaligera Guido Papalia.
Se ne evince che molti sapevano dell'attività dei gruppi naziskin.

D. Dottor Papalia, che lettura dà dell'aggressione di Nicola Tommasoli?

Sicuramente abbiamo a che fare con un fenomeno legato alla cultura nazifascista, ma questa cultura, specie nella provincia di Verona, è cambiata.

D. In che modo?

Da movimenti come Ordine Nuovo, che anche nella sua struttura si rifaceva al Partito fascista, siamo passati nei primi anni 90 a gruppi come il Fronte nazionale, che pur accettando i principi nazifascismi puntava esclusivamente sul razzismo.
Contemporaneamente ci sono stati gli skinhead, legati al mondo del calcio e alla violenza degli stadi, ma anche all'identità culturale e al contrasto della diversità.

D. Molte delle aggressioni avvenute a Verona negli ultimi anni sembra dettate solo da una violenza fine a se stessa.

E' cosi. Spesso si tratta di violenze contro persone ritenute diverse non solo perché la pensano diversamente, ma per come si vestono, come si comportano o come parlano.

Questi gruppi si ritengono i tutori del centro storico di Verona, che pensano debba essere frequentato solo da chi ragiona come loro. Provocano le persone per allontanarle.

Una sorta di controllo del territorio gestito con la violenza e dettato da una convinzione: la mia identità non può essere messa in discussione da chi è diverso da me. E non solo perché viene da un'altra nazione. No, diverso perché si comporta diversamente.

D. Se questa è la logica, cosa aveva di diverso Nicola Tommasoli?

Si vede che non vestiva come loro, oppure non aveva il loro stile di vita, frequentava gente quella sera che aveva fatto qualcosa che a loro non era piaciuto.

Forse gli aggressori hanno pensato che non si comportasse come secondo loro ci si dovrebbe comportare nel centro della città.

E allora lo hanno provocato chiedendogli una sigaretta. Ripeto, i pretesti possono essere molti: alcune persone sono state aggredite solo perché avevano un accento diverso. Oppure perché alla domanda: «Sei fascista?» hanno risposto di no. Per questi gruppi la violenza è la finalità che vogliono attuare e ogni scusa è buona per farlo.

.

D. Non crede che da parte di alcuni politici ci sia stata troppa tolleranza nei confronti di certe aree?

Lasciamo da parte la politica. Non credo che la si possa collegare a quanto accaduto. Sto prendendo atto di una posizione netta e decisa del sindaco Tosi contro questi episodi, che va sicuramente approvata e agevolata.

Non credo sia producente ripercorrere questioni che possono essere state anche sbagliate in passato ma che ora è meglio superare.
Da Il Manifesto del 6.5.08

mercoledì 7 maggio 2008

NO AL SILENZIO

Si parla molto della fiera del libro di Torino per la presenza dello stato d’Israele, per le bandiere bruciate, per i palestinesi ‘dimenticati’ etc.

Passa in secondo o terzo piano invece un’importante iniziativa contro la mafia svoltasi ieri sera al Piccolo Regio, teatro del capoluogo torinese.

Da un lato due antagonisti storici di ogni mafia: Giancarlo Caselli, neoprocuratore capo della città, e Don Luigi Ciotti fondatore dell’associazione ‘Libera’.

Dall’altro un giovane: Davide Di Leo (in arte Boosta) dei Subsonica.

Due generazioni dunque che si incontrano e si impegnano insieme nell’ideale di una lotta continua contro il drago che divora vite e risorse.

L’occasione viene da una ricorrenza: il 30 anniversario dell’assassinio di Peppino Impastato.

In una sala stracolma viene proiettato un video accompagnato da uno slogan: “La mafia uccide, il silenzio anche.”

Accompagnato dal sottofondo di un pianoforte G. Caselli legge brani di Calamandrei sulla Costituzione, di Impastato, alcune lettere di Aldo Moro alla famiglia.

La data dell’uccisione di Peppino, 9 maggio 1078 è la stessa del ritrovamento del cadavere del politico democristiano.

Ad Impastato, esponente della sinistra extraparlamentare in Sicilia, il regista M. T. Giordana aveva dedicato un bel film: ‘I cento passi’ con Lo Cascio.

Don Ciotti legge l’elenco dei giornalisti uccisi dalla mafia: da De Mauro a Rostagno.

Caselli conclude: Si tratta di un’occasione importante per far vedere che cos’è l'antimafia dei diritti che traduce la legalità in lavoro, che vuole che non ci siano più sudditi, ma cittadini.

L’incasso della serata va alla gestione sociale dei beni confiscati alle mafie.
Da La Stampa del 6.5.08

martedì 6 maggio 2008

PAROLE NON DETTE

Chiudendo l'intervento di ieri si auspicava che il clamore mediatico inducesse i politici del centro destra a delle dichiarazioni impegnative verso gli assassini del giovane veronese, massacrato a calci.

Ci si attendeva in altri termini che ci fosse una presa di distanza anche dal retroterra culturale che aveva permeato la giovane vita dei cinque aggressori.
Una almeno blanda sconfessione della cultura dell'uso della violenza contro inermi, colpevoli solo di essere diversi da te e dal tuo modo di vivere.

L'illusione è durata ben poco: già in serata le agenzie riportavano delle polemiche suscitate dalle parole del neopresidente della camera on. Fini che giudicava più grave l'episodio di due bandiere israeliane bruciate davanti alle telecamere a Torino.

Ed ora? Cosa penseranno i tanti giovani appartenenti o omogenei alla cultura della destra estrema che si erano probabilmente sentiti, anche se indirettamente, sotto giudizio dopo l'aggressione di Verona?

E' venuta ben chiara la richiesta di un processo esemplare per i colpevoli ma una possibile delegittimazione delle loro pratiche non c'è stata.

Tanto meno una anche indiretta sconfessione che sarebbe stata doverosa di una cultura d'intolleranza.

Anzi le dichiarazioni di un leader della destra li ha salvati da eventuali congetture autocritiche.

Siamo punto e a capo. Se non subentrano fatti nuovi la morte del giovane veronese sarà servita solo a chi riceverà i suoi organi.

lunedì 5 maggio 2008

DISGRAZIATI NON BASTA

Tutti i tg e i giornali di oggi aprono sul pestaggio di Verona. Tre dei cinque picchiatori sono agli arresti, altri due lo saranno tra non molto. Si dice.

In prima fila il sindaco di Verona con le sue dichiarazioni sui giovani che non devono essere identificati come rappresentanti della alta borghesia cittadina o come dei militanti politici di destra. Bensì come dei disgraziati e basta.

Il giovane sindaco si augura che i cinque vengano processati al più presto e condannati severamente.

Se si può condividere quest’ultima osservazione. Meno convincente appare la prima.

Il Corriere della Sera di oggi, che dedica ben tre pagine interne all’accaduto, dà per certa l’appartenenza del gruppo, che nella notte del 30 aprile scorso ha massacrato a calci in testa Nicola Tommasoli di 29 anni, all’estrema destra cittadina.

Leggendo tra le righe si scopre poi che il gruppo era già noto alla Digos per le sue ‘azioni’ sia in città che allo stadio.

Non si può quindi pensare che basti bollare i cinque ragazzi, il primo che si è costituito ha 19 anni, come semplici irresponsabili

L’”irresponsabilità” non nasce a caso, specialmente se è di gruppo.
Per formarsi e crescere ha bisogno di un humus, di un ambiente fatto di idee e relazioni che renda possibile il concretizzarsi di azioni violente e faccia in modo che chi le compie si senta in qualche modo ‘legittimato’.

Ancora: se una persona che sta sola da qualche parte della città viene circondata da cinque sconosciuti che lo provocano, può cadere nella trappola, può subire un’aggressione.

Ma qui si tratta di vera e propria furia omicida che vede il branco scagliarsi contro un inerme incolpevole.

Per giungere a tanto il gruppo dei cinque ha dovuto attrezzarsi culturalmente di principi come l’intransigenza contro i ‘diversi’ o la loro negazione come persone degne di abitare un contesto civile , siano essi extracomunitari, tifosi di altre squadre o sbandati.

Il fatto poi che essi siano, come pare confermato, di buona famiglia aggrava ancor di più la loro condotta perché non è la mancanza di basi culturali o benessere materiale a definirne i comportamenti.

Ecco quindi c’è da augurarsi che i giovane Sindaco Tosi sia in grado nei prossimi giorni di approfondire la sua analisi perché ridurre ad un ‘disgraziati’ le condotte dei suoi giovani concittadini significa non riuscire a vedere la pericolosità sociale di un tessuto culturale che fa riferimento all’estrema destra nel nostro paese

Su questo era stato scritto ampiamente in questo sito e nel link ‘approfondimenti’ si trovano valide analisi.

C’è intanto da augurarsi che l’onda emotiva e mediatica che si sta sviluppando attorno all’episodio sia in grado di indurre i politici del centro-destra veneto e nazionale a dichiarazioni ben più impegnative di quelle sentite finora.

domenica 4 maggio 2008

ALCOL E TV

Osservatorio sulla salute delle regioni italiane è il titolo di un lavoro recentemente concluso da 287 esperti di cui riferisce la Stampa di Torino.

L’attenzione del giornale si è focalizzata sui comportamenti degli adolescenti piemontesi.

La situazione globale pare non essere preoccupante anche se non mancano indicazioni di tendenze che possono diventare gradualmente poco rassicuranti.

Nei dettagli:
il bere in modo smodato si va diffondendo a macchia d’olio. Per gli esperti questa abitudine è da leggere come un comportamento ponte per giungere al consumo di sostanze illegali.

il tradizionale vino viene abbandonato per far posto ai superalcolici e cocktails con l’aggravante che l’età del primo bicchiere si sta abbassando.

notizie positive vengono dal fumo. Sotto i 14 anni solo il 20% fuma.

negative invece dall’aumento delle malattie sessualmente trasmesse come sifilide e gonorrea.

in aumento pure il rischio aids.

Per tornare al bere le ragazze piemontesi sono il doppio (6%) della media nazionale.

E sorpresa! il gruppo giovanile tende, in Italia, a disapprovare o escludere chi si ubriaca. Ma guarda un po’ il pasticcio lo combina la Tv.

Il Comitato scientifico dell’osservatorio permanente sui giovani ha studiato per due anni film e telefilm delle principali reti televisive italiane per quantificare la promozione occulta del consumo di alcol.

L’atto del bere è presente ogni 13 minuti, il doppio delle sigarette!, e viene associato a personaggi positivi, che risultano simpatici in contesti conviviali di piacere e benessere.

Ancora: l’alcol in Tv non è quasi mai accompagnato al concetto di droga, anzi è strumento utile per concentrarsi, per superare ansia e depressione.

Nelle fiction sono i “perdenti”, cui di norma vanno le simpatie dei telespettatori, a bere.

L’ultima nota il Comitato scientifico la rivolge alla “normalizzazione” dell’atto del bere o del fumare. E da là che si originano poi le situazioni più irrimediabili.

Da La Stampa di marzo 08

venerdì 2 maggio 2008

MEGLENA E VIVIANE

Melena Kuneva e Viviane Reding ricoprono rispettivamente il ruolo di commissaria europea per i consumatori e di responsabile UE per le telecomunicazioni.

Le due donne hanno inviato un sollecito ai 27 stati membri ed alle aziende di produzione di videogiochi a rafforzare l’applicazione del “Pegi” (Pan european game information).

Il Pegi è un sistema di classificazione e autoregolamentazione per i videogiochi che prevede l’adozione di particolari etichette che avvertono genitori ed utenti della eventuale aggressività di determinati videogiochi.

Scopo dell’invito delle signore Kuneva e Reding è quello di frenare l’uso di videogiochi violenti nei paesi della UE.

Per la Reding il PEGI “funziona bene ma è ancora troppo poco conosciuto dall’opinione pubblica” e la sempre maggiore accessibilità via internet e cellulari impone un’accelerazione dell’attuazione delle misure adottate a protezione dei minori.

Leggere la notizia di questa iniziativa delle autorità di Bruxelles incoraggia sicuramente tutti coloro che osservano con disagio crescente il dilagare di episodi di violenza tra i giovani e giovanissimi di cui si trova fin troppo spesso notizia anche nei giornali di questi ultimi giorni.

Sorge però altrettanto spontaneamente la domanda se il seguire le indicazioni di Bruxelles possa bastare a frenare efficacemente il dilagare di modelli comportamentali che sembrano non conoscere né confini né limiti.

Forse dovrebbero attivarsi maggiormente anche altri commissari della UE, quello della cultura per esempio o quello dell’informazione visto che tanta violenza penetra nella case anche attraverso notizie che vengono date senza tanto riguardo né per le vittime stesse né per gli utenti de sistema televisivo.

Una giornalista del Corriere della Sera scriveva recentemente parlando del “La ragazza del lago” recente vincitore dei David di Donatello, che l’opera del regista Molaioli è contro la “brutalizzazione di una certa informazione che fa spettacolo” di eventi che meriterebbero di restare solo nell’ambito dell’intimità delle persone.
Da La Stampa del 28.4.08

giovedì 1 maggio 2008

L'AUGURIO

Oggi primo maggio 2008 Festa del Lavoro.

Il Centro Mori è vicino a tutte le persone che soffrono ed hanno sofferto per problemi legati al lavoro:

da quelli che un posto non ce l'hanno a coloro che hanno occupazioni occasionali, giovani laureati per lo più, e non retribuite e vi si applicano costantemente per fare esperienza.

da chi ha lavori precari, discontinui, con tante ore e poca retribuziuone a chi opera nei servizi e soprattutto a coloro che svolgono lavori manuali.

I rischi che questi ultimi, anche in senso metaforico, corrono per portare a casa uno stipendio sono troppo alti.

Stime dell'Inail, l'istituto per gli infortuni sul lavoro, parlano di un milione di incidenti nel 2007 e di 1260 morti.

Una tragedia quotidiana che ha visto il culmine nell'anno passato nel rogo della Thyssen-Krupp.

L'impegno del ministro Damiano e della squadra di governo ha fatto sì che nel 2007 l'alto ed inaccettabile numero di vittime fosse comunque inferiore a quello del 2006.

Vogliamo sperare che le solenni dicharazioni di questi giorni di insediamento delle nuove camere non rimangano solo parole.

Vogliamo credere che tra le forze politiche ed imprenditoriali prevarrà un impegno legislativo finalizzato a ridurrre drasticamente i numeri di questa vergogna nazionale.