sabato 31 gennaio 2009

SOCIAL FORUM A BELEM -AMAZZONIA-

Tra il 2000 e il 2007 circa 154,312 km2 di foresta amazzonica sono andati perduti: un’area pari alla superficie della Grecia.

La causa principale di questa distruzione è l’allevamento bovino che dai primi anni Settanta si sta espandendo in maniera esponenziale.

Il Brasile è al quarto posto nella classifica dei paesi emettitori a livello globale.

La deforestazione e il cambio d’uso dei suoli forestali causa il 75% delle emissioni del Paese.

Di questa percentuale il 59% proviene dalla perdita di copertura forestale e dagli incendi nella regione amazzonica.

Si stima che l’Amazzonia conservi tra 80 e 120 miliardi di tonnellate di carbonio.

Se queste riserve di carbonio venissero distrutte, si emetterebbe in atmosfera una quantità di gas serra (GHG) pari a 50 volte quelle prodotte dagli Stati Uniti in un anno.

Da www.greenpeace.org

venerdì 30 gennaio 2009

IL SOLDATO O LA DOTTORESSA

Sull’onda emotiva dei fatti di Guidonia e di altri episodi precedenti si è parlato molto in questi ultimi giorni degli stupri e dei modi di arginarne il dilagare.

Alle reazioni a caldo degli uomini della destra che, come al solito, invocando più soldati nelle città, pensano di mettere tutto a posto salvo poi ricredersi e far marcia indietro, fanno riscontro opinioni diverse come quella di A. Kustermann della clinica Mangiagalli di Milano che propone misure di tipo educativo:

Solo insegnando ai giovani, fin dalla scuola primaria, la differenza sessuale ed educandoli ai sentimenti si può sperare di avere un ridimensionamento del problema e quindi un suo controllo sociale.

Tale approccio porta ad alcune considerazioni:

Non è con la forza che si affronta la brutalità che emerge da un tessuto sociale sempre più esasperato da modelli televisivi seducenti, che vengono proposti in modo ossessivo da tutte le emittenti (Cristina del Grande Fratello è presente ovunque) e una realtà quotidiana che ti esclude più o meno completamente dal modello presentato.

La Kunstermann parlando di educazione sposta il discorso su un lato diametralmente opposto.

Educare alla differenza sessuale significa investire sulla scuola: un settore in cui invece i tagli della finanziaria sono stati pesanti.

Significa pure investire sui giovanissimi e sui giovani.

Significa lavorare ad un modello di società che si prende a cuore la qualità della vita futura delle nuove generazioni.

Ma per far tutto questo non bastano solo i soldi, che sembrano non ci siano mai per queste cose, serve anche una politica che voglia
dare energia a chi lavora nei luoghi dell’educazione, creando attorno a loro rispetto, consenso e perseguendo un progetto sociale che
confermi quest0 indirizzo politico
.

L’orizzonte della politica sembra però tutto preso da problemi di tutt’altra natura
e c'è da pensare che, passato il clamore di questi giorni, si dovrà aspettare il prossimo inevitabile episodio criminoso perché se ne riparli.

Il merito della dottoressa milanese va però oltre l’orizzonte immediato e poco incoraggiante del presente.

La sua riflessione consente, a chi si sente impreparato davanti al problema, di formarsi un’opinione precisa e a non cadere negli slogan a facile effetto di chi, padroneggiando i media, tenta di governare anche il pensiero dei più e, se serve, anche la sua rimozione.

E quando si ha una opinione, frutto di un’elaborazione meditata, le persone si mettono all’opera alla ricerca di un percorso di soluzione che consenta almeno ai propri figli di non cadere nelle trappole che la vita prepara loro impegnandosi inoltre affinché il governo della collettività locale e magari nazionale recepisca la priorità della necessità di un agire educativo.

mercoledì 28 gennaio 2009

LA SHOAH ITALIANA

Il libro della Shoah italiana raccoglie le testimonianze di 105 sopravvissuti.

Gli ebrei popolani o sottoproletari di Roma, straccivendoli, venditori ambulanti, commercianti di biancheria, così come quelli borghesi o altoborghesi di Milano o Trieste, imprenditori, medici, professori universitari, albergatori.

Queste voci sono il risultato ultimo di una vicenda che, racconta Pezzetti l'autore, è durata decenni:

agli inizi degli anni Trenta gli ebrei in Italia erano 45mila, l’uno per mille della popolazione; nei lager ne fu deportato un quinto, novemila circa; ne tornarono qualche centinaio;

solo tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta la Fondazione Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea) cominciò a raccogliere delle testimonianze audio;

ma solamente nel 1992, di fronte a un rigurgito neo-fascista e antisemita - scritte sui negozi del ghetto della capitale - i sopravvissuti cominciarono a manifestare, quasi cinquant’anni dopo, la disponibilità a rompere il silenzio per testimoniare;

così, dal primo colloquio con Rachele Levi, ebrea italiano-rodiota, effettuato il 15 giugno 1995, è cominciato un lavoro che ha toccato, con gli intervistati, tutti i luoghi topici della tragedia, Regina Coeli e San Vittore, la montagna da cui con i passeurs si tentava di fuggire in Svizzera e via Tasso, Auschwitz ma anche Israele.

Perché questo libro sia tremendo non c’è bisogno di spiegarlo.

Il suo apice - così come era nei campi - è nella descrizione del «lavoro» del Sonderkommando, qui per voce di Shlomo Venezia, ebreo di Salonicco, comandato al compito ventunenne, con altri 873 compagni di sventura.

Da pagina 218 a pagina 225 ecco il racconto in prima persona di chi aveva il compito di accompagnare alle camere a gas i candidati alla morte, - poteva capitare ci fosse tra loro il parente, l’amico

Poi la liberazione e il rientro. Il ritorno alla vita. E il problema di come parlare del passato.

E cosa i «salvati» si aspettassero dal futuro. Ci si affeziona a queste voci, ritrovandole da un capitolo all’altro. Si impara a capirne il carattere. Sono colte, come quelle di Luciana Nissim, compagna di prigionia di Primo Levi, e di Liliana Segre, oppure - per lo più - voci semplicissime di ebrei dei ghetti.

Ora, sessant’anni dopo, grazie al loro coraggio, alle loro testimonianze, e alla possibilità che esse ci danno - un po’ - di condividere, è come se loro, i reduci dall’inferno, e noi, vivessimo di nuovo in un mondo comune.

Tullia Fabiani: giornalista Unità

Libro: 'La shoah italiana' Einaudi Editore

martedì 27 gennaio 2009

27 GENNAIO: IL GIORNO DEL RICORDO

Oggi si ricordano le vittime dell'olocausto.

Centinaia, forse migliaia, di manifestazioni in Italia, telegiornali che ne parlano diffusamente, nuovi film, nuovi libri, riprosozioni di film che hanno avuto successo.

Il Presidente Napolitano ha invitato a distinguere sempre con una «chiara e netta distinzione» le critiche che sono legittime a chi governa Israele e «la negazione, esplicita o subdola, delle ragioni storiche dello Stato di Israele, del suo diritto all'esistenza e alla sicurezza, del suo carattere democratico», cose che non devono essere messe in discussione.



Noi vorremmo per ricordo citare le parole di una sopravvissuta della Shoah:

Si viveva in una specie di incomunicabilità: nessuno poteva raccontare, nessuno voleva sapere.

Con le famiglie soprattutto... i miei cognati non mi hanno mai chiesto. Anzi, mi viene da ridere a pensare che mia cognata, se io dicevo “Di fame ne abbiamo patita molta”, lei ribatteva: “Ma non credere che anche noi qua non abbiamo patito fame”.

Adesso, invecchiando e ripensando a quell’epoca, ne sono sempre più convinta: il linguaggio non offriva parole sufficienti. Cioè se la gente diceva “fame”, non era la “fame” nostra».

Tuttora il linguaggio non offre parole sufficienti a spiegare nè la fame nè i forni.

Ricordare però aiuta a diminuire la possibilità che chi nega la mostruosità che ha prodotto l'olocausto possa farsi avanti.

Fonti: Corriere della Sera ed Unità di oggi

sabato 24 gennaio 2009

DEDICATO A LORO E A TUTTI GLI ALTRI



Lina Hassan di dieci anni uccisa nell'attacco alla scuola Onu di Jabaliya. Stava vicino ad un negozio adiacente alla scuola.





Mohammad Shagoura di 9 anni ucciso dal fuoco israeliano il pomeriggio del 6 gennaio mentre stava giocando nella scuola Onu di Jabaliya.





Amal Abed Rabbo di due anni ucciso dal fuoco di un carro armato assieme alla sorellina di sette anni. Un'altra sorellina di quattro anni si è salvata rimanendo paralizzata dalla vità in giù.






Shahed abu Sultan di 8 anni uccisa da una pallottola sparata da un elicottero mentre era seduta sulla soglia della porta di casa nel campo profughi di jabaliya il 5.1.09





Ghaida Abu Eisha di 8 anni. Il missile che ha colpito la sua casa ha ucciso con lei altri due fratellini.





Mohammad Abu Eisha di 8 anni, ucciso in casa da un missile il 5 gennaio. Due fratellini sopravvissuti sono profondamente traumatizzati e cadono a terra quando sentono un rumore forte.

Fonte: The Guardian del 24.01.09

venerdì 23 gennaio 2009

SEI GIORNI FA

Sabato scorso 100.000 persone hanno sfilato a Roma in una pacifica manifestazione contro la guerra a Gaza che stava avvicinandosi alla fine.

Una partecipazione, multietnica, straordinaria per un evento che ha scosso la coscienza civile del mondo.

Tra le tante dimostrazioni di solidarietà al popolo palestinese si è distinta l’ Australia dove due imponenti cortei hanno sfilato nelle due maggiori città del paese.

La domanda ora: qualcuno ricorda di aver visto in Tv o letto nei giornali notizie su queste dimostrazioni di voglia di partecipare alla vita collettiva protestando in modo composto e rispettoso?

A parte Rainews 24, visibile su Sky o sul digitale terrestre, le Tv hanno glissato su tutto questo.
I più diffusi quotidiani nazionali nelle prime pagine delle loro edizioni on-line non ne hanno dato notizia.

Eppure della tragedia di Gaza i media se ne sono occupati, a modo loro, ogni giorno, e in modo particolare nel momento in cui si stava arrivando al cessate il fuoco.

Ad un blog come questo, che cerca nella quotidianità dei nostri giorni di vedere un’attualità di quei valori che la Resistenza ha insegnato, è già capitato e purtroppo succederà ancora di occuparsi di ciò che i media dicono, dicono parzialmente o tacciono del tutto.

Dietro a questi atteggiamenti di enfatizzazione di un avvenimento o di una sua elusione, totale o parziale, dal novero delle notizie da dare, sta infatti un gioco di determinati poteri contro altri, normalmente più piccoli.

Chi legge o guarda i telegiornali è spesso preso da un vortice di notizie e talvolta fatica a districarsi nel mucchio.
Chi prepara i servizi scritti o audio dei media spesso usa questa difficoltà dell’utente per preparare la notizia in modo che porti al formarsi di questa o quella opinione.

Si può osservare che si tratta di “un gioco normale”: i giornali costano e devono rendere conto a chi li finanzia, altrettanto dicasi per le televisoni.

Ma siamo abituati a pensare di essere in uno stato pluralista dove tutte le opinioni riescono in modo maggiore o minore ad emergere e quindi ci aspettiamo un minimo di obiettività.

Talvolta però questo non succede e l’utente viene indotto ad un pensare le cose in un determinato modo, perché tutte le fonti concordano in quella direzione.

Che fare se si resta ‘ingannati’ dall’unanimità che nasconde o vela la vera notizia?

Il tempo attuale fornisce attraverso il web, i siti, i blog strumenti di controinformazione, che è necessario usare e divulgare per far sì che il gioco dei poteri mediatici non funzioni pienamente.

mercoledì 21 gennaio 2009

VANDANA SHIVA

E' presente nel link 'Approfondimenti', capitolo Prospettive, un'intervista al'economista V. Shiva di cui anticipiamo un passaggio.

I «poveri» sostiene Vandana Shiva, non sono coloro che sono «rimasti indietro» perché incapaci di giocare le regole del capitalismo, ma quelli che sono stati esclusi da ogni gioco e a cui è stato impedito l'accesso alle proprie risorse da un sistema economico che erode il controllo pubblico sul patrimonio biologico e culturale.

Stare «dalla parte degli ultimi» (come recita il titolo di un suo recente libro pubblicato dalle Edizioni Slow Food) non significa dunque dare di più a chi ha meno, ma restituire ciò che è stato sottratto con la forza di leggi ingiuste, difendere i beni comuni dall'assalto avanzato dalla globalizzazione neo-liberista, impedire la brevettabilità delle forme di vita e di conoscenza e costruire una nuova democrazia ecologica.

Una democrazia che difenda la biodiversità e riconosca il reciproco condizionamento tra sostenibilità ecologica e giustizia sociale.

martedì 20 gennaio 2009

HOPES

Se oggi 2, c'è chi dice 3, milioni di persone si radunano a Whashington per partecipare all'insediamento del primo presidente Usa dalla pelle scura, è segno che dal suo operato ci si attende molto, per non dire moltissimo.

Se festeggiamenti, meno imponenti ma analoghi nello spirito sono previsti in Africa ed in altre parti del mondo è segno che l'aspettativa di un segnale di cambiamento è enorme in un pianeta globalizzato, inquinato, in cui 1 miliardo di persone rischia la morte per fame.

Quando attorno ad un uomo nascono simili speranze, c'è anche il rischio di cocenti delusioni.

Anche l'uomo più onesto e retto può incappare nei tranelli dei tanti nemici di uno sviluppo pacifico e ordinato della vita civile ed economica.

L'augurio che almeno una minima parte delle attese abbia risposte positive e ovvio, ma è chiaro che la domanda di futuro di milioni di giovani, di poveri ed emarginati e del ceto medio, che sta perdendo sicurezze, è talmente grande da esser molto difficile da soddisfare.

lunedì 19 gennaio 2009

21 GIORNI

Tre settimane è durata la guerra di Gaza.

Anche se le cife non sono aggiornate si parla di 1300 morti e più di 5000 feriti tra i palestinesi. 13 i soldati israeliani uccisi.

Probabilmente si saprà fra una o due settimane che i morti ed i feriti sono ancora di più.

Allo sgomento che si prova davanti a queste cifre si somma l'indignazione per le distruzioni che le tv ora fanno vedere.

Di 1.500.000 persone quanti hanno ancora un tetto?

E i luoghi pubblici? Di fatto pare non esistano più: scuole, ministeri, moschee, università.

E l'economia? Si sa che le barche dei pescatori sono state distrutte. Altre informazioni non ci sono.

Dai blogger si apprende che il numero dei disabili creati da 21 giorni di guerra è altissimo.

Persone di tutte le età che hanno dovuto esser amputate perchè non c'era modo diverso di curare le loro ferite.

Probabilmente non sapremo mai il numero di quelli che sono impazziti per gli incessanti fragori delle esplosioni, nè forse si saprà mai quanti bambini di tutte le età porteranno per sempre nella mente malattie originate dal terrore di questi giorni.

Per maggiori dettagli si veda il sito www.savethechildren.it

Chi parlerà della tragedia umana di chi ha avuto la famiglia più o meno completamente distrutta ?
Forse qualche scrittore fra un anno o due.

A chi è servito tutto questo orrore?

venerdì 16 gennaio 2009

L'OBIETTIVO

Tra le tante notizie che hanno caratterizzato questo inizio d'anno spicca per la continuità di presenza nei media la campagna leghista e non solo contro i clandestini.

Anche qui nel nostro territorio capita di vedere in qualche paese, nella vetrina della sede del carroccio, un grande manifesto che invita a cacciare i clandestini.

Viene da chiedersi il perchè di tanto accanimento
:

Gli stranieri hanno un peso rilevante nelle attività produttive italiane. Si è calcolato che il loro lavoro vale i 10-11% del Prodotto Interno Lordo.

Sono quindi una risorsa rilevante per le aziende nazionali. Se non ci fossero loro, queste sarebbero costrette a rivedere le loro strategie e anche lavoratori italiani perderebbero il posto.

Si può controargomentare che gli occupati nelle industrie italiane non sono clandestini.

E' chiaro però che uno straniero con un lavoro fisso è fonte di sostegno per la sua famiglia in patria, o per familiari la cui presenza qui da noi non è stata ancora ufficializzata e quindi risultano come irregolari.

A questo piccolo esercito se ne aggiunge un altro (nel nostro territorio è ben evidente) ed è quello costituito dalle persone che assisitono gli anziani.
La maggior parte di loro proviene dall'Est Europa
.

Il fatto che siano clandestini è una risorsa per tante famiglie. Non tutte possono permettersi specialmente in tempi economicamente difficili come questi di mettere in regola una persona, di pagarle gli straordinari, le festività etc.

Questi fuorilegge sostituiscono con il loro oscuro lavoro le strutture pubbliche che sono insufficienti ad ospitare il gran numero di anziani presenti e che hanno inoltre costi che non tutti posssono sostenere.

Probabilmente è una situazione che ha in famiglia anche qualcuno tra quelli che vogliono cacciarli a tutti i costi o rendere loro la vita più difficile.

E' quindi un obiettivo difficilmente perseguibile anche se si è al governo della nazione e si può contare su una maggioranza che approvi senza problemi leggi che vadano in quella direzione.

Ecco allora sorgere il dubbio che lo slogan 'fuori i clandestini' nasconda una strategia per catturare il consenso di quella parte della popolazione che pensa ed agisce in modo istintivo.

Il disagio per le difficoltà economiche crescenti,
l'insofferenza per qualcosa che non funziona a livello anche esistenziale (separazioni, figli divisi etc),
la stanchezza per le tante cose che non vanno nel paese,
il bisogno di vedere un minimo di giustizia sociale e di futuro per i propri figli:

tutto ciò si trasforma spesso in rabbia repressa, che non tutti irescono a razionalizzare e controllare e che ha pertanto bisogno di scaricarsi prendendosela con qualcuno.

E poichè è oggettivamente troppo difficile risalire alle cause di tutto ciò meglio indicar loro obiettivi chiari, semplici, perseguibili e soprattutto deboli, con poche possibilità di difendersi.

giovedì 15 gennaio 2009

http://mediaoriente.com/

Al Jaseera ha fatto un nuovo
importante passo in quella che e’ diventata in pochi giorni una delle piu’ sofisticate e capaci operazioni di approccio “new media” al conflitto in corso a
giorni in cui ha tenuto un attivissimo canale via Twitter di micro updates da Gaza e disseminato video su You Tube, la Tv del Qatar fa la mossa successiva.

La provocazione delle provocazioni, visto che si tratta di un broadcaster. E cosa c’e’ di piu’ prezioso per un broadcaster, se non il suo archivio, il materiale che produce, i contenuti su cui investe?

Il core business di una rete TV e’ la produzione e la vendita di immagini, almeno cosi’ era fino a poco tempo fa. Al Jazeera lancia http://cc.aljazeera.net/ il primo archivio di immagini online di qualita’ broadcast accessibile a tutti gratuitamente, persino a scopi commerciali.

Un blogger, un filmaker, un giornalista, un’universita’ e persino una rete televisiva avversaria, potra’ accedere a questo footage,rimanipolarlo, rieditarlo, rivenderlo persino, con l’unico obbligo di citare la fonte.

Questo e’ quanto recita la licenza BY, l’attribuzione, la piu’ permissiva licenza disponibile fra quelle ideate da Creative Commons.

Un passo molto importante per una concezione diversa del giornalismo, per un suo allargamento in direzione della partecipazione, della rimanipolazione, del cut up.

Al Jazeera sa bene che, in un momento come questo, sulla crisi di Gaza c’e’ anche una crisi informativa, poco accesso ai media, e le poche fonti accessibili sono soprattutto in arabo.

Mettendo in circolo le sue immagini, Al Jazeera attivera’ l’esercito di traduttori volontari, quelli che scrivono Wikipedia, che passano ore al computer a discutere articoli e traduzioni.

Allertera’ le centinaia di migliaia di blogger che in giro per il mondo postano su quello che sta succendendo.

Svegliera’ gli appassionati del filesharing, che per una volta potranno farlo in maniera assolutamente legale.

E forse anche qualche Tv si interessera’ a questo footage e, perche’ no, lo usera’ per programmi, documentari, approfondimenti.

Il circolo virtuoso creato da Al Jazeera potenzialmente e’ infinito.

Rimane una cosa, aldila’ del significato politico, che per ora lasceremo da parte.

Con questa mossa, la TV del Qatar dimostra di essere all’avanguardia, persino nel discorso new media.

Dimostra di essere in continua tensione con se stessa, di avere voglia di superarsi e di non riposare sugli allori, di andare oltre quella scuola di giornalismo -professionale eppure tradizionale nell’impostazione- che pure e’ stata lei stessa a creare nel mondo arabo.

Tralasciando il discorso politico, e rimanendo su un piano strettamente mediatico, tanto di cappello, quindi, a una rete che si comporta meglio di tutti i servizi pubblici del mondo

Al Jazeera si e’ giocata la carta del brand image, quella del ritorno economico sul lungo periodo. Vedremo se avra’ ragione
ora, comunque, e’ l’unica TV di cui si parla, persino negli Usa, sul piano di copertura new media della guerra a Gaza.

Ne ha parlato qualche giorno fa un bell’articolo dell’International Herald Tribune.

Dal sito citato nel titolo

mercoledì 14 gennaio 2009

ESSER GIUDICI

Hanno giurato di essere obiettivi, equanimi, equidistanti.
Hanno giurato di ascoltare tutte le testimonianze con obiettivo distacco.
Hanno giurato di mantenere un atteggiamento equilibrato.
E, alla vigilia del processo più atteso dell’anno, mantengono fede alla promessa fatta prima di Natale.

Da domani 6 giudici popolari siederanno accanto a quelli togati, nella maxi aula 1 del tribunale di Torino, per il momento della verità sull’inferno alla ThyssenKrupp, che il 6 dicembre 2007 costò la vita a 7 operai.

Tre operai, due impiegati, una panettiera, un commerciante, una casalinga, una pensionata. Nove in tutto, perché ai 6 titolari saranno probabilmente affiancati i supplenti. .....

«Un pochino certo sono emozionato - esordisce Fabio La Ferrara, 40 anni, operaio da 25 -, più che altro perché anch’io lavoro in fabbrica. Ma mi sento molto tranquillo e sereno. Finora ho seguito la vicenda su giornali e tv, ora ascolterò direttamente quanto hanno da dire sulla vicenda i tanti testimoni convocati». Oltre non si sbilancia.

L’unica sua considerazione è a livello generale, nazionale: «Sicuramente nel nostro Paese la sicurezza sul posto di lavoro è un problema che va affrontato. ...».

Lo ribadisce anche Anna Ciociano, 48 anni, diplomata maestra ma da sempre impiegata.

«Provengo da una famiglia di operai e il mio unico figlio, che ora ha 24 anni, lo è stato a sua volta per un certo periodo. So bene quant’è importante l’emergenza morti bianche in Italia. A Nord, come al Sud, ogni giorno si verificano episodi drammatici. Se ti va bene resti handicappato, nel caso peggiore muori. Sulla Thyssen non dico nulla, interverrò al momento opportuno».

Cautela anche nelle parole di Matteo Iacovino, 49 anni, titolare di un negozio di autoricambi. «Ho due dipendenti e mi rendo conto di quanto sia necessario garantire un ambiente protetto.

Un’abitudine che deve essere valida ovunque nel nostro Paese. Ma non dobbiamo scordare che le regole ci sono e vanno rispettate: a volte, purtroppo, per esempio, nei cantieri si vedono muratori che lavorano ai piani alti senza caschetto o cinture di protezione».....


Di omicidio volontario deve rispondere appunto l’amministratore delegato della società tedesca, Harald Espenhahn, che rischia fino a 21 anni di carcere.

Sul banco degli imputati, oltre all’azienda in quanto persona giuridica, anche Gerald Prigneitz, Marco Pucci, Giuseppe Salerno, Daniele Moroni e Cosimo Cafueri. Sono accusati di omicidio colposo con colpa cosciente. Contestata a tutti anche l’omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.

Fonte: La Stampa di oggi

lunedì 12 gennaio 2009

IL MICRO ED IL MACRO

Diceva ieri sera Ermanno Olmi partecipando alla serata TV in ricordo di De Andrè che nelle persone povere c'è sempre autenticità, mentre noi borghesi (quelli con un buon stipendio e le loro accertate sicurezze) siamo sempre un pò fasulli.

L'incipit del regista è utile per leggere una situazione atipica.

In Medio Oriente in un rettangolo di terra lungo 40 km e largo 20 (più o meno la distanza tra Portogruaro e S.Donà e tra queste due località e il mare) vivono 1.500.000 disperati, privi di un'economia reale e bisognosi di tutto.

Tra loro la maggior parte sono donne e bambini. L'ong Save the Children dice che, di questi, 58.000 erano sottonutriti prima dell'inizo del conflitto.

L'autenticità di questi veri poveri, massacrati da 17 giorni e 17 notti di bombardamenti notturni e diurni dal mare, dal cielo e da terra, quasi privi di corrente elettrica, acqua, medicine ed altri generi di prima necessità ha fatto sì che sabato scorso 100.000 persone dimostrassero a Parigi e moltre altre decine di migliaia nelle varie capitali e città della ricca Europa borghese.

Questo nonostante la faziosità dei media che hanno informato con i soliti sistemi di due pesi e due misure:

Grande paura per un razzo palestinese in Israele, sulla paura e sui suoi danni collaterali per le centinaia di bombe di tutti i tipi al giorno su Gaza, neanche una parola.

Il Corriere della Sera di oggi registra uno spostamento dei media Usa negli ultimi giorni in direzione di un rendiconto più obiettivo di quanto sta succedendo.

Secondo il quotidiano questo cambiamento è dovuto all'azione più imparziale della Tv araba in lingua inglese Aljazeera visibile o su Sky o sul suo sito con il computer.

Le manifestazioni in Occidente hanno costretto l'opinione pubblica europea a volerne sapere di più e di qui il disagio dei governi e le proteste non si può andare avanti così, la Palestina è la Palestina, ma Milano è Milano ha sbottato Sabato il vicesindaco della città.

Le stesse comunità ebraiche in Europa, preoccupate per i risvolti antisemiti che possono assumere le proteste, stanno mettendo in crisi le certezze del loro governo in patria.

Obama sarà presidente dal 20.1.09 ma la sua residenza di Washington è stata assediata l'altra sera da una grande manifestazione.

Qui da noi già si grida allarme per le manifestazioni di sabato prossimo.

Dal micro di Gaza al macro dell'Occidente e da qui di nuovo al micro dove pare che Israele sia alle fasi finali dell'offensiva.

Protagonisti della vicenda gli esclusi dal benessere, le ong che li aiutano, la coscienza dell'occidente, costituita da milioni di persone senza volto che si sono mobilitate per loro e per la qualità della vita democratica nei loro paesi.

Sicuri sconfitti appaiono già i media, i governi,le loro diplomazie e la cieca violenza di chi ha troppe armi.

Se i massacri in questa settimana si fermeranno, le persone scese in piazza, in seguito al sacrificio e alla resistenza dei poveri autentici, potranno aver contribuito ad evitare tragedie ancora più immani.

E allora sarà possibile tornare ai problemi del nostro paese, che non hanno mai smesso di preoccupare.

domenica 11 gennaio 2009

IL LAVORO DEL MEDICO E DEL PARAMEDICO

Vale la pena ripassare cosa dichiara il giuramento di Ippocrate, a cui è tenuto ogni medico prima di iniziare a esercitare la professione, in particolare questi passi:

"Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica".

Sono sette fra i dottori e infermieri volontari i camici bianchi uccisi dall'inizio della campagna di bombardamenti, una decina le ambulanze colpite dall'artiglieria israeliana.

I sopravvissuti tremano di paura, ma non si tirano indietro. I lampeggianti cremisi delle ambulanze sono gli unici squarci di luce lungo le strade nelle notti oscure di Gaza, esclusi i lampi che precedono le esplosioni.

Riguardo a questi crimini, l'ultima denuncia è partita da Pierre Wettach, capo della Croce Rossa a Gaza; le sue ambulanze sono potute accorrere sul luogo di un massacro, a Zaiton, est di Gaza city, solo dopo 24 ore dall'attacco israeliano.

I soccorritori dichiarano di essersi trovati dinnanzi uno scenario raccapricciante: "quattro bambini piccoli vicini ai corpi senza vita delle loro madri in una delle case. Erano troppo deboli per tenersi in piedi.

Con i miei compagni dell'ISM sono giorni che giriamo sulle ambulanze della mezzaluna rossa, abbiamo subito molteplici attacchi e perso un caro amico, Arafa, colpito in pieno da un colpo di obice sparato da un carro armato.

Altri tre paramedici nostri amici rimangono ricoverati negli ospedali dove fino a ieri lavoravano. Sulle ambulanze il nostro dovere è raccogliere feriti, non accogliere a bordo guerriglieri.

E quando troviamo riverso per strada un uomo ridotto una poltiglia di sangue, non si ha il tempo di controllare i suoi documenti, chiedergli se parteggia per hamas o fatah. Anche perchè quasi sempre i feriti non rispondono, come i morti.

Alla fine persino le Nazioni Unite si sono accorte che qui a Gaza siamo come tutti immersi nello stesso catino, bersagli mobili per ogni cecchino.

Siamo arrivati a quota 789 vittime, 3300 i feriti, 410 vertono in situazione critica, 230 i bambini uccisi, decine e decine i dispersi. Il computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4.

Dal suo blog a Gaza S. Arrigoni

venerdì 9 gennaio 2009

CREVALCORE

Dalla immane tragedia di Gaza sembra quasi strano passare ad un abbastanza recente dramma italiano che pure è doveroso ricordare.

In quell'incidente ferroviario accaduto vicino Bologna persero la vita 17 persone. I colpevoli sono ancora da trovare eppure molto si è indagato.

Diciassette morti, un processo aperto, tanti dubbi da risolvere e decine di persone che aspettano ancora giustizia.

Dietro la corona d'alloro deposta mercoledì nel giardino dedicato alle vittime di Crevalcore... c'è un'omba lunga quattro anni, senza preciso profilo, dove si perdono nomi e volti: quelli degli uomini e delle donne che non ci sono più, o che lottano ancora per arrivare ad una verità, e quelli dei colpevoli o presunti tali.

Il 7 gennaio del 2005 il treno Interregionale 2255, proveniente da Verona e diretto a Bologna, dopo aver effettuato la fermata di San Felice sul Panaro comincia la sua corsa verso Bologna.

A Bolognina, stazione chiusa al servizio viaggiatori, ma che svolge il ruolo di posto di blocco intermedio, l'IR avrebbe dovuto effettuare l'incrocio con un treno merci proveniente da Crevalcore. L'IR non si ferma, il convoglio merci viene investito sugli scambi di ingresso della stazione di Bolognina, quando era sul punto di entrare su un binario deviato.

L'impatto è devastante.

Dove finisce l'errore umano, e dove inizia la responsabilità delle Ferrovie dello Stato?

Dall'inchiesta conclusa dalla procura di Bologna nel 2007 risultò che una semplice telefonata avrebbe potuto evitare la tragedia di Crevalcore.

Ma De Biase, non aiutato dalla presenza della ripetizione dei segnali elettronici, quel giorno non ricevette nessuna segnalazione telefonica che lo avvertisse del convoglio che stava marciando sul suo stesso binario, nella direzione opposta.

Secondo quanto risultò dall'inchiesta dei pm bolognesi e dalle testimonianze di alcuni dipendenti delle Ferrovie, la procedura dell'allarme telefonico, anche se non prevista da alcun regolamento di Trenitalia, era (ed è tuttora) prassi diffusa tra il personale di terra, che avvisa i macchinisti degli incroci tra treni al di fuori degli orari normali.

Probabilmente, il 7 gennaio del 2005, nessuno prese in mano la cornetta per una triste coincidenza.

E la lista dei drammi italiani non chiariti si allunga.

Fonte: L'Unità di ieri

mercoledì 7 gennaio 2009

BLOG 2009 E SILENZI ASSORDANTI

BLOG 2009

Un blog è fatto da chi lo scrive e da chi lo legge e vi partecipa con i suoi commenti, suggerimenti, critiche.

Nello scorso anno i commenti sono stati 2, a metà dicembre, rispetto a circa 300 post pubblicati. Molto più confortante il numero delle letture.

Proviamo quindi, in questa prima parte di 2009, a ridurre il numero degli interventi settimanali (da 5-6 a 2-3) e vedere se si crea un maggiore equilibrio tra scritto e letto/commentato.


SILENZI ASSORDANTI

Sui blog e in qualche giornale si è accennato al silenzio assordante di Obama sulla tragedia di Gaza.

Ma di silenzi assordanti ce ne sono stati altri in questi giorni terribili.

I network e i media hanno trasmesso al mondo l'informazione che a Gaza tre quarti del milione e mezzo di abitanti sono donne e bambini.

Non si ha notizia di servizi sui danni, oltre la contabilità dei morti e feriti, che una popolazione subisce dopo 11 giorni di bombardamenti dal mare, dall'artiglieria di terra, dai carri armati, dal cielo (aerei a reazione, elicotteri, droni).

Il fragore degli scoppi continui che non permette il riposo, la ricostruzione delle energie, cui sono più esposti i soggetti che meno ne hanno, la paura costante, il terrore per i combattimenti che si avvicinano e ti feriscono o portano via l'amico o uno o più familiari. La penuria di cibo, di acqua potabile e di luce elettrica.

Una miscela di ingredienti che provoca disturbi mentali permanenti, specialmente nei bambini e lascia traumi che difficilmente si guariscono anche negli adulti.

Non si ha notizia di dichiarazioni dell'intellighenzia ebraica in Italia, intellettuali di spessore che spesso hanno saputo difendere quel che rimane dei valori della nostra democrazia.

Nell'evidente sproporzione di forze tra le parti in lotta, forse queste persone che, in altri momenti con le loro riflessioni riempiono talk show e pagine di giornale e sostengono il tessuto democratico nazionale, hanno brillato per il loro silenzio.

Viene da chiedersi di cosa abbiano bisogno ancora per dire basta. Loro che più di altri sanno cosa significa stare dalla parte delle vittime.

E anche se si è assuefatti alla pochezza della stampa, si resta ancora una volta sgomenti per le cose non dette dai media.
P.S.(Dell'uso delle bombe al fosforo bianco ha parlato il Times di Londra)