domenica 30 marzo 2008

SOLI ED INERMI

Metti una giovane neolaureata con il massimo dei voti ed encomio solenne. Metti la ricerca immediata di usare tutto ciò che hai imparato, studiando con passione, al servizio di strutture pubbliche e private che vogliono avvalersi di tanto talento e capacità di dedizione al lavoro.
Metti università italiane chiuse a riccio, bloccate nei loro giri di interessi superprotetti.
Aggiungi case editrici cui i laureati poco piacciono perché si devono pagare di più e sono, forse, anche scomodi da gestire.

Quale neolaureato non si deprimerebbe.
Non è il caso della nostra.

La scioltezza con cui sa esprimersi le consente di trovare un part-time da 400 E. al mese in un call center di giovani donne.

Sopravvivere bisogna e poi ti resta tempo per continuare a lavorare sulla tua amata filosofia, scrivere qualcosa da mandare in visone a qualche università straniera nella speranza che almeno là qualche porta si apra.

Certo non è facile Sul lavoro ti costringono a stupidi riti collettivi di autopromozione di te stessa, ti controllano i cinque minuti che ti servono per andare in bagno, la pausa caffè è brevissima. I risultati vengono verificati nei dettagli.
Chi non riesce a carpire alle persone contattate abbastanza appuntamenti, da passare poi ai venditori maschi, viene teatralmente prelevata dal suo posto da due gorilla in divisa e perde il posto seduta stante. Lacrime e proteste a nulla servono.

La feroce organizzazione del lavoro scuote la nostra ma non la piega.

Sa gestirsi bene e ciò fa sì che capi e capetti cerchino di sfruttarne le doti umane a proprio vantaggio. Loro ne sono privi.
Come potrebbero altrimenti far osservare regole umilianti di punizione per i maschi che non vendono abbastanza
.

Lei sa stare al suo posto. Se può aiuta chi è in difficoltà, maschi e femmine.
Costoro non hanno solide letture alle spalle e tanto meno hanno avuto una formazione che desse loro equilibrio personale.
Anzi, si sono formati davanti allo schermo televisivo. I loro comportamenti
si ispirano a quello che hanno visto là dentro e sono quindi psicologicamente fragili. Incapaci di decidere. Sopravvivono con i loro simboli: atteggiamenti che ne mascherano la profonda insicurezza, l’auto, il vestito, il cellulare.

La famiglia è lontana o assente. Chi tra loro ha un figlio non sa gestirlo e questo è abbandonato a se stesso.

La violenza, fondamentalmente solo psicologica, delle condizioni di lavoro viene subita. Chi è licenziato resta senza prospettive. E’ disperato.

Tutto questo lo vediamo grazie ad uno dei tanti bravi registi italiani: Virzì, che evita accuratamente l’argomento delle morti bianche.

Evidenzia invece l’organizzazione del lavoro in uno dei settori in cui molti giovani trovano impiego.


Non vi si muore fisicamente come nelle fabbriche, ma basta pochissimo per venir psicologicamente distrutti e dichiarati fuori della società dei modelli vincenti.

Virzì con il suo “Hai tutta la vita davanti” fa vedere la solitudine di una generazione cui nessuno sembra saper dare aiuto.

Non si parla, nel film, degli effetti sociali della violenza che subiscono nell’ambito del lavoro anche se è evidente che questa ne genera di nuova.
E’ possibile, ci si chiede, che nessuno apra mai un dibattito serio sui risultati micidiali prodotti dalle esigenze di certi sistemi di produzione?
Che senso ha produrre per produrre, se poi oltre all’immondizia ciò crea anche disastri umani tra gli addetti?
Da: “Hai tutta la vita davanti” di Virzì.

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