giovedì 22 maggio 2008

L'ANALISI DEL DOTT. LUZZATTO

In una recente intervista Amos Luzzatto, che è stato presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, dichiara, parlando di ciò che sta succedendo nel nostro paese con i rom, che lui e i suoi correligionari, gli ebrei, sanno bene le conseguenze di ciò che significa esser ”prima di tutto indicati come stranieri irriducibili, poi progressivamente stranieri parassiti… e in conclusione gruppi umani da espellere, da perseguitare…”.

Per questo motivo lui si sente vicino ai rom, sa per esperienza cosa “significhi esser vittime di pregiudizi che si trasformano in odio e ‘violenza purificatrice’ ”. E vuole che non succeda che la comunità degli zingari sia vittima di nuove discriminazioni.

Per Luzzatto coloro che appiccano il fuoco ai campi rom interpretano il modo sbagliato con cui la questione dei nomadi viene affrontata da chi di dovere:
in altre parole stiamo vivendo una fase di migrazione di massa che pone la nostra società davanti a timori e paure sconosciute fino a pochi anni fa.

Isolare quella che può essere nell’immaginario e nella realtà quella componente ”più facilmente riconoscibile e colpirla” crea solo l’illusione di risolvere un problema che invece è estremamente difficile affrontare ed indirettamente legittima che si sente, da questo modo di vedere le cose, in diritto ad agire in prima persona, magari in modo barbaro.

Ed a proposito dei fuochi dei campi dice “ogni fuoco richiama alla memoria altri fuochi”. Basta tornare indietro con la memoria:
a ciò che è successo nel passato dell’Europa“ i roghi dell’Inquisizione, i roghi dei libri maledetti, … quelli dei campi di
sterminio.”


Per cui bisogna interrogarsi quale sia il tratto comune a tutti questi falò e la risposta che si trova è purtroppo tutta in un verbo:
distruggere.
Non deve restare niente di tutto quello che dà fastidio al potere.

E’ un modo di vedere le cose che ingigantisce e generalizza portando alla distruzione di molto di più di quello che si afferma di voler eliminare. ”E’ terribile, ma è così”.
Da L’Unità del 19.5.08

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