martedì 13 maggio 2008

CORAGGIO CIVILE

Tanti anni fa, ma non tantissimi, si era agli inizi degli anni settanta, chi aveva in famiglia un problema di salute mentale, era una persona segnata per molto tempo. Il familiare doveva esser isolato e ricoverato in un ospedale il cui nome evocava paure di ogni tipo: il manicomio.

I parenti stretti venivano pure visti con qualche sospetto. Se capitava di chiedere perché i matti dovevano stare in quel luogo, ci si sentiva rispondere che erano pericolosi. Potevano anche uccidere.

I soloni medici del tempo li curavano evitando che potessero incontrare i ‘normali’. Nei manicomi le mura era alte. Ogni fuga impossibile.

Le ‘cure’ prevedevano i letti di contenzione, camice di forza, elettroshock e psicofarmaci. Il loro tempo passava tra sofferenza, urla, violenza e sudiciume.

Un inferno medioevale per questi sventurati che si trovava all’interno delle moderne città italiane già invase dalle automobili e dai lustrini della ‘civiltà del boom economico’.

E’ in questo contesto che un medico psichiatra veneziano: Franco Basaglia si avvicina ai malati di mente con un nuovo approccio che si basa sul concetto dell’ importanza del comunicare, dello sforzo di stare nelle cose e di aiutare chi forse fa piú fatica degli altri a starci restituendo in altri termini la parola ai matti.

Anni di duro lavoro nelle istituzioni e poi trent’anni fa la chiusura dei manicomi.

Chi se ne ricorda più della paura dei matti. Sono subentrate nuove paure.

Dare un’ occhiata indietro però serve eccome.
Chi uccide oggi non sono i malati di mente riconosciuti e riconoscibili, sono invece persone normalissime che conducono esistenze apparentemente tranquille ed abitano spesso in belle case, fino a giorno in cui, con grande sorpresa dei vicini, non si scopre l’orrore della porta accanto.

Il coraggio di Basaglia, tanti e anche pochi anni fa, fu quello di saper vedere ‘oltre’, di capire e far capire che i malati di mente erano ‘persone’ che avevano bisogno di non essere isolate, ma di esser capite e riconosciute come persone e basta.

Duro fu lo scontro con le potenti gerarchie mediche e con le istituzioni ma alla fine Franco Basaglia la spuntò sia professionalmente ma prima ancoranculturalmente, dimostrando come il sapere sulla follia era più basato su pregiudizi che su conoscenze specifiche.

Nico Pitrelli ci ha scritto un libro: L’uomo che restituì la parola ai matti. E nell’articolo in cui se ne parla dice che oggi ci manca Basaglia cioè ci manca uno sguardo obliquo, trasversale, dinamico, uno sguardo dialettico insomma.

Secondo l’opinione di Pirelli oggi la spinta all’omologazione è irresistibile e purtroppo nulla veramente mette in discussione un impianto di pensiero dominante; è difficile trovare uno spiraglio, un filo, una posizione dislocata per contrapporsi.

Tanta gente non ricorda, non sa quante famiglie, quante persone con sofferenza mentale devono esser grati ancora oggi a questo medico che ha permesso con il suo lavoro ed il suo coraggio che i ‘matti’ potessero avere un’esistenza dignitosa.

Ma ancor più numerose sono le persone che hanno bisogno di recuperare un metodo di lavoro e coesistenza sociale uguale al suo. Un operare in un contesto social-culturale molto difficile in cui sono necessari anni di fatica, di contrapposizioni e di sperimentazioni per riuscire ad affermare il proprio punto di vista.
Fonte Unità 12.5.08

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