Nella striscia continua della home page del sito vengono regolarmente inserite le notizie riguardanti le morti bianche.
Il più delle volte mancano i nomi delle persone che lasciano la vita per poter lavorare e portare a casa qualche soldo.
Più frequente è invece l’occasione di conoscere l’età delle vittime e il luogo dove abitavano.
Poi tutto si ferma là.
Alla costernazione ed al dolore dell’ennesima tragedia si aggiungono gli stessi sentimenti per quella successiva.
Un susseguirsi continuo e mai interrotto di notizie porta ad una quasi assuefazione ad una ‘normalità’ che tale non è e non deve essere.
Dopo un giorno o due si dimentica oppure sarebbe meglio dire: si è costretti a dimenticare per il sopravanzare di altri eventi.
Con la conseguenza che l’indignazione e la ribellione non trovano tempo e spazio per esprimersi.
Eppure ci sarebbe grande bisogno di una pubblica indignazione e di una pubblica rivolta pacifica contro la strage quotidiana.
Il numero delle vittime non dice le dimensioni reali della questione.
Chi è più fortunato e resta invalido diventa un problema per chi vive assieme a lui.
L’esistenza di un’intera famiglia e quella delle relazioni tra le persone che ne fanno parte ne viene pesantemente condizionata.
Di quest’ultimo aspetto si parla assai di meno. Lo si dà quasi per scontato.
A Torino si sta svolgendo il processo per la tragedia della Thyssen-Krupp ed al proposito escono testimonianze sconvolgenti.
La madre Rosario Rodinò dichiara che dal giorno della tragedia lei e suo marito si sentono in colpa per aver condiviso la scelta del figlio di lavorare in quella fabbrica.
Dall’orgoglio alla disperazione.
Aggiunge: “Da quel giorno non ci sopportiamo più nemmeno tra noi.”
E poi ripete che di tragedia annunciata si sta parlando perché il figlio tornando a casa ripeteva spesso che se succedeva qualcosa nessuno si sarebbe salvato.
La sorella parla invece dei rapporti tra lei, il marito ed i figli che da allora non sono più gli stessi.
Dichiara: “..sono scontrosa, arrabbiata, cattiva, ma non mi sento più cattiva degli assassini di mio fratello che per me era come un figlio e per colpa loro ci ritroviamo così".
E poi ancora: “…noi questo Natale l’abbiamo passato al cimitero. E i padroni e dirigenti della fabbrica dov’erano?
Viene da chiedersi:
quante persone stanno ora lavorando e pensando che la loro esistenza è a rischio?.
Se ci sono più di 1200 vittime l’anno delle morti bianche, quanti altri pagheranno senza aver colpe con danni materiali e personali sia a livello psicologico individuale che interrelazionale?
Fonte: La Repubblica di oggi.
martedì 17 febbraio 2009
EFFETTI COLLATERALI
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